Marx

Karl Marx è stato un eminente filosofo, economista e teorico politico del XIX secolo.

Karl Marx fu una figura chiave nel movimento operaio e socialista.In questo sito vi sono importanti informazioni su le sue opere fondamentali e l’impatto duraturo del suo pensiero nella società moderna.

Chi era

Marx nacque nel 1818 e fu una figura chiave nel movimento operaio e socialista.

La sua analisi critica del capitalismo e la teoria della lotta di classe hanno avuto un impatto profondo sulla comprensione della società.

Opere Principali

Tra le opere più influenti di Marx troviamo “Il Capitale”, “Il Manifesto del Partito Comunista” e “L’ideologia tedesca”.

Eredità e Influenza

L’influenza di Marx si estende ben oltre il suo tempo.

La sua visione del mondo ha ispirato movimenti politici, sociali ed economici in tutto il mondo.

Analizzeremo, per quanto posssibile, come le sue idee continuino a plasmare il dibattito contemporaneo.

Si possono trovare all’interno del sito web sergiodalmasso.com i suoi concetti chiave, come la teoria del plusvalore e la sua critica alla società capitalistica.

Conclusioni

In sintesi, nel sito web vi è una interessante panoramica sul pensiero marxista desunte dalle opere di questo grande pensatore rivoluzionario.

Continueremo a esplorare il suo impatto duraturo sulla società e a fornire risorse utili per approfondire, per quanto possibile, la comprensione di questo fondamentale teorico .

Manifesto del Partito Comunista – Circolo Rosa Luxemburg – Cuneo

Articoli

Il Calendario del popolo n. 615, 1997

Mentre si scrive è presente in Ebay il numero 615 de “Il Calendario del popolo” del dicembre 1997.

In esso vi è – fra gli altri – il saggio di Sergio Dalmasso intitolato: Bernstein, Kautsky e Rosa Luxemburg catalogato nella sezione Archivio, Scritti storici e Articoli e saggi di questo sito.

Gli autori del numero 615, dicembre 1997, del Calendario del popolo sono stati: Sergio Dalmasso, Giorgio Bini, Sergio Giangirolami,  Franco Della Peruta, Mario R. Storichi, Antonello Rossetti, Diego Giachetti.

 

Bernstein Kautsky e Rosa Luxemburg copertina calendario del popolo 615

CALENDARIO DEL POPOLO 615, 12/1997: SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO. Scuola di BARBIANA
Franco Della Peruta (direttore), Nicola Teti (direttore responsabile).

A tal proposito si ripropone il saggio di Sergio Dalmasso  in esso pubblicato intitolato:

Il primo dibattito sul “revisionismo”: Bernstein, Kautsky, Rosa Luxemburg.

Il primo dibattito teorico nel movimento socialista compie ormai 100 anni.

Una riflessione su questo e sui nodi che ha aperto ha significato non solo come riflessione sulla storia del movimento di classe e sulle sue grandi figure, ma anche per gli elementi di attualità che a distanza di cento anni, conserva.

Già negli ultimi anni della sua vita, Marx vede parzialmente modificato e stravolto il suo pensiero.

La crescita della socialdemocrazia tedesca, nata dalla unificazione dei due filoni di Bebel e di Lassalle propone a tutto il movimento operaio un modello sostanzialmente riformista e gradualista, legato al pensiero positivista.

La polemica di Marx espressa nella Critica al programma di Gotha è centrata sulla rivendicazione della dittatura del proletariato, sull’affermazione di un diritto diseguale (essendo diseguale la natura), sulla celebre affermazione “da ognuno secondo le sue possibilità, ad ognuno uno secondo i suoi bisogni”.

La sferzante conclusione “Dixi et salvavi animam meam” è una chiara presa di distanza rispetto alla deriva teorico-pratica verso cui muove il nuovo partito. …

CONTINUA

Download saggio completo Il primo dibattito sul “revisionismo”: Bernstein, Kautsky, Rosa Luxemburg:

Download “Il primo dibattito sul “revisionismo”: Bernstein, Kautsky, Rosa Luxemburg (di Sergio Dalmasso)”

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Una Rosa che vive, estratto dal libro Rosa Luxemburg oggi, Lezioni teoriche vive, Pontassieve, ed. Prospettiva Edizioni Services & Publishing, 2023.

Sergio Dalmasso

Una Rosa che vive

Mi limito ad alcune considerazioni, brevi e sintetiche, sui motivi che rendono Rosa Luxemburg figura imprescindibile nella ricostruzione, anche se sempre più complessa, di un pensiero ed una pratica alternativi, in questo ventunesimo secolo.

Viene immediatamente alla luce come la più grande figura femminile nella storia del marxismo,

– quella che Lenin, pur nel dissenso, definì aquila e delle opere della quale ha consigliato lo studio alle giovani generazioni,
– quella che Trotskij chiese di preservare (Giù le mani) dall’uso strumentale di socialdemocratici e stalinisti,
– quella che Lukacs (e con lui Lelio Basso) lesse come la maggior continuatrice della concezione dialettica di Marx,
sia stata, per decenni, colpita da critiche e luoghi comuni, additata come portatrice di concezioni e teorie da emarginare (il luxemburghismo, la sifilide luxemburghiana).

Rosa Luxemburg Oggi, una Rosa che viveTutto in lei contrasta con le deformazioni che il pensiero marxista – la concezione per cui la liberazione del proletariato è opera del proletariato stesso – ha subito ad opera del gradualismo meccanicistico della Seconda internazionale e della distorsione staliniana a partire dagli anni ’20, sino alle tragedie dei decenni successivi (si pensi, ma non solamente, alle ondate di processi e alla distruzione di tutto il gruppo dirigente bolscevico).

Una Rosa Luxemburg atipica

Rosa è atipica, già in gioventù, nel movimento socialista polacco, quando rifiuta la priorità dell’impegno sulla questione nazionale.

La sua stessa tesi di laurea inquadra la questione polacca, al centro di tanti documenti dell’internazionale e di scritti di Marx, Engels e Lenin, in termini strutturali: la Polonia è divisa fra tre grandi imperi (Germania, Austria, Russia) e ognuna delle tre parti è legata, economicamente, allo stato di cui fa parte.

L’indipendenza nazionale cozzerebbe contro le strutture economiche ed è, comunque, da collocarsi in secondo piano, rispetto alla centralità della lotta di classe.

Elemento tattico

E’ chiaro come lei (Luxemburg) non colga, a differenza di Lenin, l’elemento tattico: le contraddizioni che la richiesta di indipendenza produce nel reazionario impero zarista. …

Continua …  Saggio completo Una rosa che vive catalogato nella sezione del sito Collaborazioni a testi. Estratti.

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Dettagli di Amazon del libro

Editore ‏ : ‎ Prospettiva Edizioni Services & Publishing (16 giugno 2023).

Lingua ‏ : ‎ Italiano.

Copertina flessibile ‏ : ‎ 220 pagine.

ISBN-10 ‏ : ‎ 8885562167

ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8885562165

Peso articolo ‏ : ‎ 218 g

Dimensioni ‏ : ‎ 20.8 x 1.7 x 15 cm.

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Introduzione al Libro Rosa Luxemburg Oggi, Conoscere, discutere, crescere, Claudio Olivieri

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Sebastiano Timpanaro, l’inquetudine della ricerca

di Luca Bufarale

Sebastiano Timpanaro, l'inquietudine della ricerca

Nella sezione del sito Schede e recensioni è presente la recensione di Sergio Dalmasso, pubblicata sul numero 11 della rivista Il ciclostile (Salerno, direttore Angelo Orientale) e non solo, di questo libro scritto da Luca Bufarale pubblicato da Edizioni Punto Rosso.

  • SCHEDE, RECENSIONI DI SERGIO DALMASSO PRESENTI nel n. 11, marzo 2023, “IL CICLOSTILE” Luca BUFARALE, Sebastiano Timpanaro, l’inquietudine della ricerca, Pistoia, Centro di documentazione, 2022; Lasciare un segno nella vita. Danilo Monaldi e il Novecento, A cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati, Roma, Viella ed., 2021; La moralità come prassi. Carteggio di Ludovico Geymonat – Antonio Giolitti 1941- 1965, A cura di Fabio Minazzi, Milano, Mimesis, 2022.

Download “Recensioni di Sergio Dalmasso: Bufarale, Fofi Salvati, Minazzi”

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Presentazione volume dell’editore Punto Rosso.

Sebastiano Timpanaro jr. (Parma 1923 – Firenze 2000) è stato un intellettuale dagli interessi multiformi: filologo classico di fama internazionale, studioso di linguistica e di letteratura italiana dell’Ottocento, ma anche militante nei partiti della sinistra “radicale”, e autore di numerosi interventi su marxismo e materialismo e su psicoanalisi e critica testuale che hanno suscitato un ampio dibattito non solo in Italia ma anche all’estero, specie in Inghilterra.

Dalla sua scomparsa sono usciti numerosi interventi sui diversi campi della sua attività, tuttavia mancava un testo che ne tracciasse un profilo d’insieme. Il presente volume vuole colmare questa lacuna, concentrandosi su quattro aspetti.

In primo luogo ci si sofferma sulla formazione intellettuale, in una famiglia antifascista nell’Italia del Ventennio, con un padre fisico e storico della scienza e una madre classicista e studiosa dei filosofi antichi.

Successivamente viene indagata – anche con l’ausilio di materiale proveniente dall’archivio Timpanaro conservato presso la Biblioteca della Scuola Normale di Pisa – la sua attività politica: prima nel Partito socialista, poi nel Psiup e nel Pdup sino agli ultimi due decenni da “socialista (ed ecologista) senza partito”, comunque sempre all’insegna di un socialismo libertario ed egualitario.

Il terzo capitolo è dedicato alla sua interpretazione di Giacomo Leopardi, l’autore senz’altro a lui più vicino. Il volume termina con una ricostruzione del pensiero di questo “filosofo non professionale” e “materialista incallito”, come amava a volte definirsi, nella sua rilettura del marxismo, che assume in lui connotati altamente “problematici”, e nella sua critica (militante, certo, ma anche fondata su una scrupolosa acribia nella lettura dei testi) ad alcune delle tendenze culturali dominanti dell’epoca, dal neoidealismo allo strutturalismo sino alla psicanalisi.

E’ grazie a studiosi come lui se nella seconda metà del Novecento molti hanno imparato a leggere con occhi nuovi Leopardi, a sottrarlo al cliché del poeta letterariamente dotatissimo ma chiuso nella sua malinconica cupezza, a vedere invece in lui il pensatore-poeta capace di trasformare la letteratura in un formidabile strumento di conoscenza della condizione umana: “l’attualità del Leopardi consiste nell’aver sollevato ‘gli occhi mortali incontra al comun fato’, nell’aver visto la fragilità dell’uomo di fronte alla natura senza per ciò cercare rifugio in alcuna forma di fideismo, nell’aver posto le basi di una morale consistente in una fraternità laica”.

Dalla intensa corrispondenza epistolare che Timpanaro ha tenuto con grandi intellettuali della sua epoca sono stati pubblicati carteggi con Cesare Cases, Francesco Orlando, Cesare Ramires, Carlo Ginzburg, Augusto Campana, Delio Cantimori, Romano Luperini.

***

Wikipedia, Sebastiano Timpanaro

LA SINISTRA

Quando c’era La Sinistra di Diego Giachetti

Spesso gli storici sono portati a scegliere determinati argomenti di studio, rispetto ad altri, perché mossi consapevolmente o meno da ragioni attinenti alla propria esperienza di vita, tanto è vero che si è coniata la dizione di “storia come autobiografia”.

Raccontando di fatti specifici, collocati nelle loro circostanze storiche, nello spirito del tempo, lo storico, sovente restio a produrre memoria, ci parla alla lontana di se stesso, di eventi vissuti e formativi.

Lo confessa, con discrezione, Sergio Dalmasso (La Sinistra, una stagione troppo breve,

Edizioni Punto Rosso, Milano 2021) quando ricorda che ai tempi in cui era studente liceale aspettava l’uscita del mensile La Sinistra con interesse, ancora consapevole oggi che quella lettura gli è stata molto utile, come probabilmente lo fu a quel tempo per un’area di militanti politici in quel particolare momento storico di fine anni Sessanta, caratterizzato da importanti avvenimenti nel mondo e in Italia.

A spingere La Sinistra c’era una giovane casa editrice, la Samonà e Savelli (poi solo Savelli); essa favorì la discussione politica e teorica dando spazio, accanto alla ristampa di classici di Marx, Engels, Lenin, Trotsky, ad autori non solo di area trotskista ma di diverse sensibilità politiche e culturali del movimento operaio e della sinistra rivoluzionaria, pubblicando a caldo anche testi di Fidel Castro e Che Guevara.

La Sinistra fu un azzeccato “prodotto commerciale”.

Subito mille abbonati, destinati in breve tempo a diventare 2600, secondo quanto si leggeva nel resoconto comparso sull’ultimo numero del mensile del novembre-dicembre 1967.

Le vendite oscillavano tra le 7-8 mila copie, specie in occasione di numeri dedicati al Vietnam e all’America Latina.

Si trattava di dati che reggevano bene il confronto con altre riviste di partito come il settimanale comunista Rinascita, Mondo Operaio del Partito socialista e Mondo Nuovo del Partito socialista di unità proletaria (Psiup).

Prima rivista mensile (di questa si occupa l’autore), dall’ottobre 1966 al dicembre 1967,

poi settimanale, cessa le pubblicazioni nella primavera del 1968.

I temi dominanti della prima serie sono la guerra nel Vietnam, la situazione nei paesi dell’America Latina, la giovane rivoluzione cubana, la lotta di classe negli Stati Uniti e il black power, il contrasto Cina-Unione Sovietica, la rivoluzione culturale, il Medio Oriente.

Rispetto alla politica interna primeggiano le analisi critiche sulla partecipazione socialista al governo e la relativa programmazione economica, sul ruolo e la strategia dei sindacati nella lotta operaia, sul nuovo Psiup.

Sul piano teorico-storico studi su Gramsci e il dissenso nel Pci negli anni Trenta, su Lenin e l’imperialismo.

Vi collaborano esponenti del dissenso ingraiano maturato nel PCI, del Psiup, della sinistra sindacale Cgil, della sezione italiana della IV Internazionale, inizialmente i più convinti promotori della rivista, sia Savelli che Samonà ne fanno parte, nonché alcuni intellettuali e studiosi di fama internazionale.

La dirige Lucio Colletti, che per molti anni aveva militato nel Pci, ed era noto come teorico marxista rigoroso, di cui Dalmasso traccia impietosamente la sua successiva parabola declinante, che lo porterà, come Giulio Savelli d’altronde, nelle file berlusconiane.

Mal accolta dai comunisti, l’uscita del primo numero provoca la radiazione dal partito dell’editore Giulio Savelli, la rivista si propone di rilanciare il discorso unitario di una sinistra operaia e di classe, nella prospettiva di favorire l’incontro tra tutte le forze deluse dalle vie riformiste al socialismo di matrice socialista e comunista.

Un generoso tentativo di inserire una “terza via” politica e culturale rispetto all’operaismo e al marxismo-leninismo importato dalla Cina maoista.

Si ricava quindi un suo spazio in quella che a posteriori verrà chiamata la stagione delle riviste,

iniziata nella metà degli anni Cinquanta e in piena fioritura negli anni Sessanta, ricchi di dibattito culturale, politico, di tensioni a livello nazionale e internazionale, di rimessa in discussione di certezze e dogmi ingessati dagli anni della Guerra fredda.

Un “disgelo” di domande, di creatività, di proposte e di propositi facilitati dalla speranza di vivere in un mondo che sarebbe presto cambiato, rinnovandosi e ponendo fine a vecchie diseguaglianze, oppressioni, guerre e violenze.

Si trattò di una stagione intensa ma breve, di un’esperienza di confronto politico e di elaborazione che non trovò seguito nel biennio delle lotte studentesche e operaie di lì a venire, quando collaboratori e lettori di quella rivista si dispersero nel mare del nascente movimento studentesco per poi riaggregarsi nel variegato e vivacissimo arcipelago dei “gruppi” della nuova sinistra rivoluzionaria.

Forse questa è una delle ragioni per cui, tra le riviste di quella stagione, essa è la meno ricordata.

Benvenuto quindi lo strappo dall’oblio di Sergio Dalmasso.

4 maggio 2021

DIEGO GIACHETTI

Fonte: dalla parte del torto

Download “Capitolo primo RIVISTA LA SINISTRA”

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RANIERO PANZIERI

 

L’iniziatore dell’altra sinistra

PAOLO FERRERO Panzieri, l’iniziatore dell’altra sinistra, Shake ed., 2021, 320 pp.

 

RANIERO PANZIERI

Paolo Ferrero ripubblica, aggiornato, un importante testo sulla grande figura di Raniero Panzieri, uscito nel 2006 per Punto Rosso, con il titolo Un uomo di frontiera, contenente testimonianze, una breve antologia, una nota biografica, la prefazione di Marco Revelli, l’introduzione dello stesso Ferrero.

La ripubblicazione di questo testo, ampliato ed aggiornato, costituisce uno dei pochi segni di interesse per il centenario della nascita di Panzieri che non ha prodotto dibattito, confronti, ricordi, anche valutazioni critiche che una pietra miliare nella storia della sinistra italiana avrebbe meritato.

Anche Panzieri è stato colpito dalla amnesia che ormai avvolge personaggi e fasi di quello che fu il movimento operaio più interessante e originale a livello europeo.

In qualche raro caso, la sua figura è stata ricordata per la fase più significativa, quella dei “Quaderni rossi”, dal 1961, letti semplicisticamente come prodromo dell’operaismo, dimenticando tutta l’attività politica precedente nasce nell’immediato dopoguerra, nel PSI, su posizioni morandiane (nella fase dei Consigli di gestione), prosegue a Messina presso la cattedra di Galvano Della Volpe e nel PSI siciliano impegnato nell’occupazione delle terre.

Persa la possibilità di carriera accademica, per il continuo impegno politico (segretario regionale siciliano), nel 1953 si trasferisce a Roma come funzionario di partito incaricato della stampa e propaganda, quindi nel 1955 della commissione cultura (cfr. Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra. Intellettuali, PSI e organizzazione della cultura -1953/1960-, Roma, Ediesse, 2011) che tenta una politica culturale non subordinata a quella del PCI.

Download “Scheda, Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra. Intellettuali, PSI e organizzazione della cultura (1953/1960)”

n.-81-2012-Da-sinistra.-Intellettuali-Partito-socialista-italiano-e-organizzazione-della-cultura.pdf – Scaricato 7738 volte – 857,94 KB

Ancora la pubblicazione, dopo la morte prematura, delle opere di Rodolfo Morandi, il lavoro, dal 1956, per evitare l’identificazione stalinismo/comunismo e per l’uscita a sinistra dallo stalinismo, la co-direzione della rivista “Mondo operaio” che, nel biennio 1957-1958, conosce il suo periodo più innovativo.

Sette tesi sul controllo operaio

Le Sette tesi sulla questione del controllo operaio, (in “Mondo operaio, febbraio 1958) scritte in una preziosa collaborazione con Lucio Libertini, costituiscono il tentativo più ricco e più organico di una ipotesi alternativa a quelle maggioritarie nella sinistra, legate anche alle Tredici tesi sul partito di classe (in “Mondo operaio”, novembre 1958).

Dal 1961, Panzieri si sente estraneo al partito, incamminato verso la partecipazione ai governi di centro-sinistra.

Il lavoro di consulente presso l’Einaudi, a Torino, lo mette in contatto con la realtà viva di fabbrica nella fase di rilancio del protagonismo operaio, dopo l’estate del 1960, nel pieno della migrazione interna, del prezioso lavoro del sindacato torinese, dell’espansione industriale che produce il moltiplicarsi di problemi sociali (casa, servizi…).

Si lega a lui un gruppo di giovani torinesi (Rieser, Mottura, i Lanzardo, Soave…) che coglie la originalità della sua analisi e della pratica.

Nascono contatti con posizioni simili che stanno maturando a Roma (Tronti, Asor Rosa) e in Veneto (Negri).

L’analisi panzieriana che si esprime nei “Quaderni rossi” è innovativa

Va intanto alle fonti, alla lettura diretta e non travisata di Marx, a parti del Capitale mai analizzate.

Rompe totalmente con la interpretazione della seconda e della terza Internazionale centrate sull’ipotesi del partito guida.

Il rilancio della via consiliare con riferimenti alla stagione dell’”Ordine nuovo”, all’autogestione jugoslava, ai consigli polacchi e ungheresi del 1956, indirettamente a tutta la tradizione consiliare che percorre l’intero secolo, permette di ipotizzare una classe operaia che costruisca i propri istituti, una democrazia che si basi su un rapporto fra istituti elettivi e di base.

Dopo il 1956

E’ chiaro, dopo il 1956, un passaggio dalla morandiana politica unitaria di classe al controllo operaio e quindi ad un particolare “leninismo” centrato su un “dualismo di potere”, ma sono evidenti elementi di continuità di un percorso teorico- politico che sarebbe errore limitare agli ultimi tre anni di vita.

E’ fondamentale, al di là dell’interpretazione che poi alcune formazioni politiche ne daranno, l’analisi della tecnologia, della non neutralità della scienza (L’uso delle macchine nel neocapitalismo) che tanto peso avrà negli anni successivi.

Lo sviluppo tecnologico non è neutro.

La macchina e la scienza sono funzioni del capitale: La macchina non libera dal lavoro l’operaio, ma toglie il contenuto del suo lavoro.

Lo strumento di conoscenza non ideologica della realtà è l’inchiesta, soprattutto se diviene co-inchiesta (cfr. Uso socialista dell’inchiesta operaia, sul numero 5 dei Q:R), costruita insieme al soggetto politico e sociale da analizzare che diventa attore esso stesso, superando la visione mistica del soggetto rivoluzionario che spesso nasce dall’esterno.

Le difficoltà, però, si moltiplicano.

Il rapporto con il sindacato torinese si interrompe, già dopo il primo numero, su cui hanno scritto Garavini, Foa, Alasia, Pugno.

Nell’estate 1961, una lettera di Garavini e Pugno accusa la rivista di semplicismo e schematismo, segnando la fine della breve collaborazione.

Ancor più tese divengono le relazioni dopo gli scontri di piazza Statuto ( luglio 1962).

Nel mese di settembre, il servizio d’ordine sindacale impedisce a Panzieri di entrare in un teatro in cui si svolge una manifestazione.

La redazione dei “Quaderni rossi” si divide su linee politiche

La componente che fa capo a Mario Tronti, Toni Negri, Alberto Asor Rosa ritiene che la maturazione politica della classe sia tale da permettere il salto organizzzativo rivoluzionario, accusa di “sociologismo” la pratica panzieriana e darà vita a “Classe operaia”.

Panzieri replica ritenendo queste posizioni frutto di misticismo rivoluzionario, una sorta di filosofia della storia centrata sulla classe operaia, accusa alcune valutazioni di rozza ideologia del sabotaggio.

Panzieri non vede rinnovato il contratto con l’Einaudi, insieme a Renato Solmi, per avere sostenuto la pubblicazione di una inchiesta di Goffredo Fofi sulla migrazione meridionale.

L’accusa è di voler usare la casa editrice per fini ideologici.

Ancora una volta, come dopo la rinuncia alla carriera accademica, l’attività di Panzieri sembra, per coerenza estrema, dover iniziare da capo.

Quando sembra avere allacciato un rapporto con la Nuova Italia di Firenze, arriva improvvisa la morte, per embolia cerebrale, il 9 ottobre 1964.

Libro di Paolo Ferrero

Il libro di Ferrero uscito opportunamente nel centenario della nascita, contiene uno scritto dell’autore che mette in luce gli elementi di attualità del pensiero e della pratica di Panzieri, creando un legame fra le tesi sul controllo operaio e la tematica dei “Quaderni rossi”.

Panzieri è antidoto rispetto alle visioni autoritarie, statolatriche, centralistiche, antidemocratiche del marxismo e del comunismo che è, invece, partecipazione e democrazia dal basso.

Molte le testimonianze, a cominciare dalla moglie Pucci Saija, traduttrice del Capitale, a tant* militanti scompars*, Dario Lanzardo, Giorgio Bouchard, Gianni Alasia, Pino Ferraris, Giovanni Jervis, Edoarda Masi, Vittorio Rieser… a chi lo ha accompagnato in una breve stagione, drammaticamente interrotta: Cesare Pianciola, Giovanni Mottura, Liliana Lanzardo, Sergio Bologna, Goffredo Fofi.

Importanza del testo

Ne emerge un quadro composito che non solamente ci fa ricordare una delle più grandi figure della nostra storia, ma ne fa risaltare i non pochi elementi di attualità, quanto mai da conoscere e discutere nel vuoto attuale.

Consigli, democrazia diretta, Cina, migrazione meridionale, composizione di classe, neocapitalismo, sviluppo economico dell’Italia, coscienza di classe, uso della tecnologia, rapporto tra spinta di massa/partiti di classe/sindacato.

Un testo per una riflessione collettiva.

Sergio Dalmasso

in “Lavoro e Salute” n. 3 Marzo 2021.

Presente anche in Schede e Recensioni

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ALDO NATOLI

Un comunista senza partito

Ella BAFFONI, Peter KAMMERER, Aldo Natoli, un comunista senza partito, Roma, ed dell’asino, 2019.

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Libro su Aldo Natoli

Scheda di Sergio Dalmasso scritta per la rivista dell’Istituto storico di Cuneo “Il presente e la storia”.

Il testo di Baffoni e Kammerer ha il grande merito di riportare alla luce la figura di Aldo Natoli, su cui, non solamente dopo la morte (2010) è scesa una sorta di damnatio memoriae, per la sua partecipazione all’eresia del “manifesto” ed anche per le posizioni storiografiche spesso eterodosse.

Il libro è diviso in tre parti: una sintetica biografia, la raccolta di numerose testimonianze, una intervista allo stesso Natoli in cui questi ripercorre alcune tappe della propria vita.

Natoli nasce a Messina nel 1913. Vive i primi anni nelle baracche costruite dopo il tremendo terremoto che ha distrutto la città. Il padre, laureato in lettere antiche alla Normale di Pisa, insegna, per scelta pedagogica, alle medie inferiori.

Aldo si laurea in medicina, è interessato alla ricerca scientifica e nel 1939 viene inviato all’Istituto per il cancro di Parigi. Qui entra in contatto con i comunisti in esilio e inizia una attività di tramite fra la centrale all’estero del PCI e “l’interno”, anche grazie al fratello maggiore Glauco, lettore all’università di Strasburgo. Fra le amicizie, Paolo Bufalini, Lucio e Laura Lombardo Radice, Bruno Sanguinetti, la futura moglie Mirella De Carolis.

Il 21 dicembre 1939 è arrestato e condannato a cinque anni (due saranno condonati). Il carcere di Civitavecchia è per lui “scuola di comunismo” e di incontro con la classe operaia. E’ liberato (amnistia) nel dicembre 1942, arruolato nell’esercito e dal settembre 1943 lavora all’edizione clandestina dell’”Unità”. Dopo la liberazione di Roma, è dirigente della federazione del PCI (segretario dal 1946 al 1954), consigliere comunale, parlamentare dal 1948 al 1972.

Gli autori sottolineano l’impegno di Natoli verso le periferie della città, i quartieri rossi e poveri, di borgate e borghetti, l’interesse, spesso non compreso nel partito, per il sottoproletariato (significativo il dibattito su Una vita violenta di Pasolini), ma soprattutto la battaglia contro la speculazione edilizia, il sacco di Roma, alla base della campagna condotta dall’”Espresso” Capitale corrotta, nazione infetta. E’ un impegno che forse avrebbe salvato la città, in mano ai “palazzinari”, da colate di cemento, ma che – sostiene Natoli nella testimonianza- non è fatta propria interamente neppure dal PCI che la segue con sufficienza e la ritiene secondaria rispetto ad altre.

Inizia un nuovo campo di attività e diviene il vice di Luigi Longo alla sezione lavoro di massa. Sono gli anni delle grandi trasformazioni strutturali del paese e delle condizioni di lavoro, della sconfitta della CGIL alla FIAT, della biblica migrazione interna, del dibattito sul neocapitalismo, ma anche delle domande sullo stalinismo, sull’URSS, dopo il XX congresso dei comunisti sovietici, gli scioperi in Polonia e la rivolta ungherese.

Natoli, che ha accettato i processi di Mosca negli anni ’30 e il patto sovietico/tedesco, nella fedeltà al partito come unico strumento per agire, esprime i primi dubbi, le prime critiche, “da destra”, quasi in consonanza con Antonio Giolitti, di cui, però, non segue il percorso. Diverso è invece il giudizio sulla realtà italiana e sulla necessità di una diversa strategia. Questo lo avvicina ad Ingrao e alla battaglia, sconfitta frontalmente, che questi tenta nell’XI congresso del PCI (1966). La sinistra interna è emarginata, perde ogni ruolo nell’organigramma del partito.

Nel 1969, un piccolo gruppo di ingraiani (senza il leader) riprende molti dei temi e delle proposte, facendo leva sull’esplosione del movimento del ’68, della spinta studentesca ed operaia, sul radicalizzarsi della situazione internazionale (Cina, Vietnam, America latina). Nasce (giugno) la rivista “il manifesto” che produce la radiazione dei suoi redattori (Rossanda, Pintor, Caprara, Magri …). E’ Natoli, nel comitato centrale che vota, quasi all’unanimità, il provvedimento, a pronunciare un lungo intervento in cui ribadisce le posizioni del gruppo e che si chiude sostenendo che si può essere comunisti anche al di fuori del partito.

Inizia un nuovo percorso, ma anche qui si accumulano le contraddizioni. Natoli riferisce di scontri con Magri che chiede strette organizzative, mentre sarebbe più utile un lavoro di lunga lena, a tempi più lunghi, senza una precisa definizione partitica. E’, quindi, contrario al breve rapporto con Potere operaio, alla partecipazione alle elezioni (1972), alla costruzione di un piccolo partito, anche alle scelte successive sino alle liste con Lotta Continua nel 1976, all’identificazione fra il quotidiano “il manifesto” e una organizzazione politica.

Termina qui, in questi anni che il libro racconta in modo eccessivamente affrettato, la militanza di partito ed inizia una intensa, anche se poco nota, attività culturale.

Partecipa alle attività del circolo culturale di Montesacro, formato soprattutto da giovani che, tra il 1969 e il 1970, hanno lasciato il PCI e collabora con l’Istituto di filosofia dell’università di Urbino con corsi, seminari e convegni (Mao, Marx, lo stalinismo…).

Molti i suoi libri; nel 1971, pubblica La linea di Mao. Spontaneità e direzione nella rivoluzione culturale cinese, con Lisa Foa (Bari , De Donato, 1971), nel 1979 Sulle origini dello stalinismo, saggio popolare (Firenze, Vallecchi), oggi datato, ma testimonianza del grande lavoro fatto per comprendere l’origine di tanti scacchi della sinistra. L’interesse per Gramsci e dimostrato dall’innovativo Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di Gramsci (Roma, ed. Riuniti, 1991) in cui “scopre” la figura della sorella della moglie di Gramsci, Tatiana Schucht, la persona che più ha seguito il carcerato in tutto il suo percorso.

Natoli è il primo a pubblicare con Gramsci- Tatiana Schucht, Lettere 1926-1935, non solo le lettere di Gramsci, ma anche quelle della cognata, per decenni ignorate, ricomponendo – nella sua interezza – un dialogo sino ad allora sconosciuto. L’ultimo testo esce nel 2013, tre anni dopo la sua morte, ed è un dialogo, con un altro grande della sinistra, Vittorio Foa, bilancio di una vita, Dialogo sull’antifascismo. Il PCI e l’Italia repubblicana, (Roma, Editori Riuniti University Press).

Le testimonianze presentano tanti volti, anche familiari e privati, di Natoli, letti da persone di età ed esperienza politica diversa (tra gli altri Sandro Portelli, Rossana Rossanda, Enzo Collotti, Celeste Ingrao). Nessuna ha, però, la bellezza di una vecchia intervista, curata da Sandro Portelli per “i giorni cantati” che si chiude con un episodio toccante. Natoli prende un tram verso la stazione Termini, un tranviere lo riconosce e gli chiede: “Aldo che cosa fai?”; “Sono un comunista senza partito.”; “Anch’io”.

Aldo Natoli

Alla fondazione Lelio Basso

Fondazione LELIO E LISLI BASSO, Roma. Sergio Dalmasso presenterà il suo volume

Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico mercoledì 22 maggio 2019 alle ore 17.00 nella sala conferenze della fondazione Basso.

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Ne discutono Valdo Spini (Presidente Associazione delle istituzioni culturali italiane), Chiara Giorgi (Università di Pisa). Coordina e introduce Giancarlo Monina (Università Roma Tre).

Video di Rai Storia. Italiani con Paolo Mieli 2018. Lelio Basso. Colore politico, reso privato.

 

Alla fondazione Basso, libro su Lelio Basso di Sergio Dalmasso

Lelio Basso. La ragione militante

Il libro di Sergio DALMASSO ripercorre la formazione di Lelio Basso, la sua posizione specifica nel corso della resistenza, l’impegno di costituzionalista, soprattutto nella scrittura degli articoli 3 e 49 della Costituzione italiana, ma anche nella successiva denuncia delle inadempienze e degli stravolgimenti che essa ha subito.

I capitoli centrali del testo offrono un compendio sulle vicende del socialismo italiano del dopoguerra e sul tentativo bassiano di offrire una risposta ai problemi della sinistra non solamente italiana.

L’ultima parte, oltre a ripercorrere l’impegno internazionalista (Vietnam, America latina…), documenta l’atipico interesse per la tematica religiosa, un laicismo senza compromessi, basato sul rifiuto della equazione Democrazia cristiana/partito cattolico e del rapporto privilegiato con essa, teso, al contrario, a proporre l’emancipazione dei lavoratori dalla sua egemonia.

Da qui la costante attenzione alla libertà delle minoranze religiose e la ferma richiesta di superamento del regime concordatario.

Ancora, Basso è, non solamente in Italia, il maggiore interprete di Rosa Luxemburg da lui letta come l’unica continuatrice del pensiero di Marx. La sua originale interpretazione del marxismo è presente nelle opere, negli scritti sulle sue riviste (in particolare “Problemi del socialismo”), nei convegni organizzati, nel lavoro della fondazione Basso da lui fondata.

 

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Rosa Luxemburg e imborghesimento del proletariato

ROSA LUXEMBURG
E LA QUESTIONE DIALETTICA DELL’IMBORGHESIMENTO
DEL PROLETARIATO

di Franco Di Giorgi

Rosa Luxemburg

 

ANPI Ivrea, 15 febbraio 2019.

I.

Per quanto diverse sul piano della consistenza e dello sviluppo interno, le due recenti monografie che Sergio Dalmasso ha approntato e dato alle stampe nel 2018 per la Redstarpress – la prima dedicata a Lelio Basso (Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico) e la seconda a Rosa Luxemburg (Una donna chiamata rivoluzione. Vita e opere di Rosa Luxemburg) – hanno tuttavia nella questione storico-sociale dell’emancipazione del proletariato la radice che le accomuna.

Tale radice affonda nel terreno stesso in cui è cresciuta la pianta del socialismo europeo: è il terreno della dialettica hegeliana Signoria-Servitù.

Questa non è che una delle molteplici figure dialettiche di cui Hegel ha tracciato la fenomenologia e che nel loro insieme formano la filosofia della storia hegeliana.

Come sappiamo, Marx ha ripercorso a modo suo la storia di quella dialettica: l’ha ripercorsa però non secondo l’idea spirituale, ma seguendo l’idea materiale, tenendo conto cioè dei diversi modi di produzione che hanno condizionato nel tempo e nella storia il rapporto tra Signoria e Servitù.

La dialettica che contraddistingue questo rapporto, detto in estrema sintesi, presuppone l’inevitabile e quindi ontologico ribaltamento dei ruoli: con il tempo e soprattutto con la dura esperienza della dipendenza e della sottomissione, la storia vedrà il Servo emanciparsi e da schiavo, da servo della gleba e da proletario esso diventerà prima liberto, poi vassallo e infine borghese e citoyen.

Ma già nella forma di semplice arbusto, quella pianta del socialismo, vale a dire nel Manifesto dei Comunisti del 1848, Marx ed Engels si erano accorti di una prima grave e profonda contraddizione interna a quella dialettica, perché il borghese (ossia il proletario emancipato) è divenuto nel frattempo il nemico del proletariato stesso.

Imborghesizzandosi, cioè, il proletariato si autoannienta.

In altre parole: la borghesizzazione del proletariato, vista come momento coessenziale e imprescindibile dall’economia capitalistica, costituisce la negazione e non l’affermazione del proletariato.

E ciò nel senso del principio spinoziano ripreso prima da Hegel e poi da Marx, secondo cui omnis determinatio est negatio.

Il proletariato non dovrebbe dunque emanciparsi per affermarsi nella storia. Il che, secondo la filosofia hegeliana e dell’evoluzionismo in generale, non sembra essere possibile.

Già sul nascere, pertanto, si profila per esso, un destino tragico.

Inoltre, come nella prima modulazione di quel rapporto Signoria-Servitù, il Signore non annienta il Servo pur potendolo fare – nello scontro a morte tra le due Autocoscienze che lottano per la sopravvivenza e l’affermazione di sé, quella che ha paura della morte tuttavia non muore, perché viene graziato dal suo avversario, e in tal modo però questo, assurgendo a Signore, lo asservisce a sé, lo rende Servo –, così, in una specie di eterno ritorno dell’uguale, di ereditarietà ontologica, di destino, anche il borghese, pur potendolo fare, non si libera affatto del proletario (vale a dire di se stesso in quanto altro da sé), ma, mediante il sistema capitalistico, lo asservisce a sé, lo strumentalizza per realizzare i suoi scopi, in primis il plusvalore.

Siamo quindi dinanzi a uno sviluppo emancipatorio che si può interpretare come una specie di travestimento che si tramanda nella storia.

Siamo dinanzi a un proletario che la storia traveste da borghese e che, come borghese non può evitare di sottoporre a sé il suo se stesso come proletario.

Già, perché secondo l’Aufhebung, cioè secondo il meccanismo della hegeliana filosofia della storia e la sua implicita teoria dell’emancipazione, nulla viene mai obliato e superato dalla storia, ma tutto viene trasformato e conservato in essa e con ciò stesso inverato.

Il borghese emancipato vede insomma nel proletario apparentemente superato e surclassato il se stesso arretrato a quella condizione servile alla quale esso non vuole assolutamente più essere ridotto e ricondotto.

Ma, se proviamo a spostare la nostra attenzione su un contesto diverso e più generale, quello che concerne l’attuale fenomeno migratorio, quel timore del borghese emancipato e insignorito nei confronti del proletario arretrato e asservito non è forse lo stesso di quello che blocca gli europei e in particolare buona parte degli italiani rispetto al problema dell’accoglienza?

Nella figura dell’immigrato noi non vediamo forse quel nostro sé arretrato e servile da cui crediamo di esserci definitivamente emancipati e alla cui condizione non vogliamo essere ricondotti e dalla quale pertanto arretriamo terrorizzati?

CONTINUA

ROSA LUXEMBURG

Foto di Rosa Luxemburg 1896

 

Oggi, 17 dicembre 2018, è arrivato il mio librino su Rosa LUXEMBURG che segue quello, uscito alcuni mesi fa, su Lelio BASSO.
Il titolo scelto dall’editore (Redstar press, Roma) è accattivante: “Una donna chiamata rivoluzione”.

Il testo, senza alcuna presunzione e pretesa, traccia un profilo della vita e dell’opera della grande rivoluzionaria, nel centesimo anniversario della morte/assassinio:
– la questione nazionale;
– la polemica con Lenin sul partito e il rapporto organizzazione/masse;
– lo sciopero di massa;
– l’antimilitarismo e l’opposizione alla guerra imperialistica;
– il dopoguerra, la rivoluzione spartachista e la morte.

Qualche circolo, associazione, partito, centro culturale… è , interessato a presentarlo?

Io non attiro folle immense,  ma mi potete cercare per telefono, e-mail, facebook, messenger, segnali di fumo…

Credo sia utile, nel centenario della morte, non solo vendere qualche copia e recuperare qualche spicciolo, ma far conoscere fatti e tematiche, riflettere sulle grandi figure della storia e sui temi – attuali – che hanno sollevato.
E Rosa mi sembra, ancora oggi, di straordinaria attualità.

Una donna chiamata rivoluzione. Vita e opere di Rosa Luxemburg

PS.
A breve, il libro sarà disponibile anche nelle librerie e online.

Sarò a Trieste presso la Casa del popolo di Ponziana il 18 gennaio 2019 alle 18.30 per parlare di Rosa Luxemburg e di Lelio Basso. Sarà presente anche l’economista Gabriele Pastrello per un intervento sul pensiero economico di Rosa Luxemburg. Sergio

Film ROSA L. :

Diego Giachetti, Recensione libro su Basso di Diego GiachettiRiporto di seguito la recensione, presente su Amazon, dello storico Diego Giachetti, al mio libro Lelio Basso. La ragione militante.

La solitudine di un socialista luxemburghiano di Diego Giachetti

 27 giugno 2018

Lelio Basso. La ragione militante

Download “Recensione libro di Sergio Dalmasso su Basso (di Diego Giachetti)”

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Il libro appena pubblicato di Sergio Dalmasso, Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico (Roma, Red Star Press, 2018), aggiunge un Copertina Recensione libro su Basso di Diego Giachettinuovo importante tassello utile per comprendere le vicende legate alla sinistra politica e sociale italiana.

Con la solita pazienza per i fatti e la documentazione che lo contraddistinguono, l’autore propone una snella e approfondita biografia politica di un protagonista del socialismo italiano, morto quarant’anni fa.

Ritrovare e ripercorrere la vita di Lelio Basso significa entrare direttamente nella storia del socialismo italiano, nel periodo che va dal fascismo alla Resistenza, al lungo dopoguerra, con i dovuti e annessi riferimenti al contesto generale della seconda metà del ‘900.

Basso ha vissuto pienamente tutti quei decenni, li ha attraversati da protagonista nel senso di un militante che ha partecipato con le proprie idee e analisi alla lotta politica fuori e dentro il partito.

Lo ha fatto senza mai rinunciare alla propria indipendenza di giudizio e di critica.

Lelio Basso controcorrente

Che Lelio Basso fosse un uomo che amava nuotare controcorrente lo dimostra la sua scelta di iscriversi nel 1921 al Partito socialista, proprio nel momento in cui tale partito non godeva di ottima salute. Aveva appena subito la divisione dei comunisti che portò alla costituzione del Partito comunista, al quale la maggioranza dei giovani socialisti aderì.

La sua giovanile adesione al socialismo comportò conseguenze repressive ad opera del regime fascista: fu arrestato, processato e confinato.

Tra azione politica e teoria

Nel corso della Seconda guerra mondiale egli esprime riserve critiche sulla politica dei fronti popolari, perché la ritiene frutto di scelte operate dai vertici di partito e incapace di stimolare e valorizzare la spinta del movimento operaio verso rivendicazioni di classe.

Ugualmente critico è il giudizio sul governo Badoglio che lo porta a rompere per un breve periodo col Partito socialista, per poi rientrarvi nel 1944.

Favorevole all’unità d’azione coi comunisti, segnala però gli elementi che lo separano da quel partito: il problema della democrazia interna e il fatto esso si ponga al servizio della diplomazia sovietica. A chi lo rimproverava di coltivare l’illusione dello sbocco rivoluzionario della Resistenza,

Basso replicava che tra la rivoluzione socialista e l’inserimento dell’establishment conservatore, vi era tutta una gamma di sfumature non sfruttate, messe in sordina dalla svolta di Salerno che rappresentò invece l’accettazione della continuità con le istituzioni e il personale burocratico amministrativo che avevano servito il regime fascista.

Eletto all’assemblea Costituente, fu uno dei principali artefici della stesura della Carta costituzionale

Divenne segretario del Psi, carica che mantenne per qualche anno. Dopo si dimise e iniziò il suo percorso minoritario all’interno del socialismo.

Gli eventi del 1956 (XX Congresso del Pcus, critiche all’operato di Stalin, rivoluzione ungherese e invasione da parte dei sovietici) non lo colgono impreparato; non deve fingere il falso stupore di chi si maschera dietro il “non sapevo nulla” di quanto era accaduto sotto il regime di Stalin in Urss.

La denuncia di Stalin e dello stalinismo, fatta per altro da ex stalinisti, riconferma per Basso la validità del socialismo democratico e pluralista contro il modello di partito unico, l’importanza della democrazia all’interno del partito contro il burocratismo.

Denuncia quindi le deviazioni dell’Urss senza ripiegare su scelte socialdemocratiche di riformismo spicciolo. Pertanto è contrario alla politica di avvicinamento dei socialisti al governo con la Democrazia cristiana e nel 1964 aderisce al Partito socialista di unità proletaria (Psiup), formazione che raccoglie i socialisti contrari all’entrata nella maggioranza governativa.

Nel frattempo Basso prosegue e approfondisce la sua riflessione teorica, tesa a potenziare l’impianto analitico e programmatico di un progetto di trasformazione socialista della società basato sulla riscoperta di Marx, che elimini le interpretazioni socialdemocratiche attribuitegli dai teorici della Seconda Internazionale.

Un Marx libero anche da Lenin.

Entrambi sono indispensabili, diceva, non perché il leninismo sia il marxismo dell’età contemporanea, che ne racchiude tutta l’essenza, bensì perché Lenin costituisce la guida delle rivoluzioni negli anelli più deboli e Marx delle rivoluzioni occidentali.

Mentre Lenin aveva concentrato il fuoco della sua battaglia sull’anello più debole della catena capitalistica mondiale, la Luxemburg invece aveva una visione meno tattica e più strategica, a lunga scadenza sui problemi di una rivoluzione in una società capitalistica altamente sviluppata.

Il triste esito delle speranze suscitate dalla “primavera di Praga” del 1968, conclusasi con l’intervento militare sovietico, è per Basso motivo di amarezza anche per la posizione assunta dal suo partito, che giustifica l’invasione.

Non rinnova la tessera del Psiup, nel 1971 si dimette dal gruppo parlamentare perché anche in quel partito si sente ormai un corpo estraneo.

Sentimento che prova anche nei confronti delle nascenti organizzazioni extraparlamentari. Il suo dissenso riguarda la concezione del socialismo e della rivoluzione, la natura e il ruolo del partito, la strategia del movimento operaio. La soluzione, ribadiva, è nel pensiero di Marx e nel ritorno a Rosa Luxemburg.

Amarezza e orgoglio

Il bilancio che egli stesso traccia di cinquant’anni di attività politica è crudo e orgoglioso. Scrive infatti che avrebbe potuto fare la politica dei favori e delle amicizie, ma non ne ha mai avuto la tentazione. Gli ripugnava.

In ciò, dice, sta la causa della sua solitudine, non solo politica ma nel profondo dell’anima, senza amici costretti ad essergli fedeli per ragioni governative o sottogovernative.

Nei partiti, prosegue, mi sono trovato spesso in minoranza. Ma essersi dimesso dai partiti non significa aver rinunciato alle proprie idee alle quali resta attaccato: “sono un isolato, un uomo che non ha dietro di sé alcuna forza organizzata, ma soltanto il proprio passato politico di militante, non mi è facile portare avanti questo ruolo di indipendente, ma è contro ogni mia volontà che sono stato ricacciato ai margini della vita politica e ridotto al ruolo non di protagonista, ma di testimone”.

In quegli anni di “solitudine” politica, il suo impegno si consuma nell’organizzazione dei tribunali internazionali per i diritti dei popoli.

È del 1966 la sua adesione al Tribunale Russell per giudicare i crimini americani nella guerra in Vietnam.

Dal 1974 al 1976 promuove e presiede le sessioni del Secondo Tribunale Russell sulla repressione in America Latina.

Nel 1976 fonda la Lega per i diritti e la liberazione dei popoli. Continua la sua attività di studioso del marxismo e di promotore culturale.

Dal 1958 al 1976 dirige la rivista Problemi del socialismo. Nel 1969 fonda l’Istituto per lo studio della società contemporanea (ISSOCO), fornito di una preziosa biblioteca per la storia del movimento operaio.

***

Dal 19 gennaio 2024 è disponibile il primo capitolo del libro Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico:

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