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“Bandiera rossa” e la LCR

Ho saputo dell’esistenza della Quarta internazionale e di “Bandiera rossa”, nel lontano 1965, all’inizio del liceo. A Cuneo, piccola città di provincia, tranquilla e democristiana (nonostante il significativo passato resistenziale), era nata da poco l’Associazione giovanile Nuova Resistenza.

Livio MaitanLa più parte dei suoi componenti, allora iscritti alla Federazione giovanile socialista, sarebbe poi stata, entro pochi anni, il nucleo delle lotte studentesche e dei gruppi della nuova sinistra (soprattutto Lotta Continua).

I temi: pace, disarmo, rinnovamento della scuola, impegno a combattere il fascismo non solo laddove era al potere, ma anche nelle strutture e negli organi dello Stato, nell’istruzione, nell’informazione, nelle questioni del lavoro.

Accompagnando l’amico Marco Revelli, di poco più “grande” di me, nella piccola sede dell’associazione, avevo trovato una copia della rivista.

Grande stupore in me, ragazzo, vaghe simpatie per il PSIUP, nel sapere che esistevano “ancora” gruppi che si richiamavano a quel Leone Trotskij di cui non conoscevo che il nome, ma per il quale sentivo una istintiva simpatia, nata forse dal fascino intellettuale o dall’attrazione per lo sconfitto nelle tragedie della storia, che avrebbe accompagnato le scelte di tanta parte della mia generazione.

Mi aveva stupito, ma anche affascinato l’idea di “continuità storica”, di una matrice politico- culturale che tenta di rinnovarsi negli anni e di misurarsi con le emergenze (le analisi del neocapitalismo!), senza abbandonare le radici su cui è nata.

Qualche riferimento a questa tensione avrei trovato, più tardi, nella lettura di una splendida rivista “La Sinistra”, tentativo unico – e troppo presto esaurito – di legare la nascente nuova sinistra e settori di quella storica, nel processo di ridefinizione e “rifondazione” del movimento operaio non solamente italiano 1.

Poi, l’università. A Genova, città allora operaia, con tradizioni di classe (dal movimento mazziniano a quello socialista, da un antifascismo diffuso ad una resistenza – che forse allora sottovalutavo – in cui il legame tra lotta partigiana e lotta di classe era stato profondo).

Una realtà operaia meno toccata, rispetto a Milano e a Torino, dalla migrazione meridionale, meno giovane, più legata a partito e sindacato. I portuali, fieri della loro specificità e convinti di un ruolo di “avanguardia” anche rispetto alle fabbriche.

Ancora, il forte e costante ricordo del 30 giugno 1960, della risposta antifascista, nella certezza che Genova, la città che nel 1945 aveva addirittura anticipato il 25 aprile, avesse respinto allora l’attacco della destra e fosse sempre in grado di farlo.

Un movimento studentesco che univa protesta contro la realtà scolastica (quale emozione la lettura, d’un fiato, di Lettera a una professoressa!) a mille spinte esistenziali e soprattutto alle tematiche internazionali con i cortei contro i golpisti greci (ricordo l’oratoria commovente di Ferruccio Parri), contro la guerra in Vietnam, per la morte del Che e per la scoperta del suo marxismo “diverso”.

Una federazione giovanile comunista presente nei quartieri, ma debole nelle scuole e nelle facoltà, in difficoltà davanti all’esplosione di una protesta studentesca che usciva totalmente, in forme e contenuti, dal suo orizzonte, gli organismi studenteschi (ricordo Giulietto Chiesa, leader della FGCI e dell’UGI) in via di scioglimento, una federazione giovanile PSIUP (Roberto Speciale, Renato Levrero, Pietro Marcenaro…) agile e attiva, spostata a sinistra, con spinte operaiste e terzomondiste, qualche presenza “cinese”, il PCd’I (m-l) del tutto estraneo alle dinamiche studentesche, l’esistenza di una tendenza anticapitalista e antiburocratica che sommava spezzoni di cultura marxista (le ascendenze di Socialismo ou barbarie), libertaria, situazionista, che nasceva da un retroterra operaista, comunista, consiliarista, fortemente antileninista, come testimonia la rivista “Democrazia diretta” (1961), il cui animatore (Gianfranco Faina) avrebbe attraversato il movimento studentesco della facoltà di lettere, la Lega degli operai e degli studenti, sino a Ludd e ai successivi drammatici approdi.

Era debole la presenza organizzata dei Gruppi comunisti rivoluzionari, nel momento in cui maggiore era la loro crisi a livello nazionale.

Le tematiche “trotskiste” giravano comunque, nei dibattiti sulla natura sociale dell’URSS (anche se la categoria di burocrazia mi sembrava – e mi sembra – troppo meccanica e scolastica), nella discussione su Gramsci – che la nuova sinistra sottovalutava – nelle quali la lettura dei testi di Silverio Corvisieri mi sembrava far uscire il rivoluzionario sardo dai limiti angusti delle interpretazioni ufficiali.

Se ero (e sono) dubbioso sula esistenza di una Quarta internazionale, nel momento in cui ampi spazi sembravano aprirsi a sinistra del PCI, tre elementi mi interessavano nelle discussioni con i compagni (fra tutti Giancarlo Giovine e Antonio Caronia che negli anni sarebbe divenuto direttore di “Bandiera rossa”) e nella lettura di riviste e documenti:

• un giudizio critico e non mitizzante sulla realtà cinese che inquadrava la realtà del paese asiatico nella storia del movimento comunista e ne coglieva le contraddizioni (fondamentali le letture di Isaac Deutscher e di Partito, esercito e masse nella crisi cinese di Livio Maitan;

• una valutazione critica, ma mai estremistica sulla sinistra storica (PCI, PSI, sindacato). Anche su questo, un testo di Maitan (PCI 1945/1969. Stalinismo e opportunismo, si differenziava da tante certezze (i tempi brevi, la già avvenuta perdita di influenza della sinistra storica sulle masse) che tanto avrebbe influito negativamente nelle dinamiche della nuova sinistra;

• la ribadita necessità dell’organizzazione davanti a tendenze “spontaneiste” e “movimentiste” che certo sono state maggioritarie nel ’68 italiano.

CONTINUA …

  1. Mi permetto di segnalare il mio piccolo e semi- clandestino La rivista “La Sinistra”, una stagione troppo breve, Milano, ed. Punto rosso, 2021.

Sergio Dalmasso, Stralcio del mio saggio presente in forma completa nei Quaderni CIPEC del 2024 – Genova 17 febbraio 2023

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Sito web su Livio Maitan

La vita, la leggenda, il pensiero, l’attualità del CHE

De tu querida presencia, comandante CHE GUEVARA.


A PRA’ (Genova), circolo “Burrasca”, via BRANEGA 10
sabato 18 GIUGNO 2022, ore 17.30

Incontro con Franco ZUNINO (coordinatore regionale di Italia/ Cuba) e con me.
La vita, la leggenda, il pensiero, l’attualità del CHE.
Non solamente nostalgia, ma riflessione per l’oggi. Condividete, telefonate, informate. Come diceva un tempo il PCI: “organizzate l’ascolto”!

Fonte Facebook, Sergio Dalmasso 15 giugno 2022

Con la proiezione di filmati inediti.

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Video riprese del convegno sul Che Guevara

Evento promosso dal PRC Circolo Curiel: Paolo Ferrero in “Cuba vista con i miei occhi”, giovedì 21 aprile 2022 ore 21.00.

Via Branega, 10, 16157 Genova GE, Italia

Pubblico · Chiunque su Facebook o fuori Facebook

Ci duole informarvi che per sopraggiunti impegni improrogabili di Paolo Ferrero questo evento è rimandato a data da definirsi. Ci scusiamo per l’inconveniente


Nonostante settant’anni di isolamento economico e commerciale e due anni di pandemia, che hanno paralizzato il turismo, Cuba non solo non è collassata ma ha saputo reagire aumentando la partecipazione popolare, allargando la democrazia, sviluppando la ricerca pubblica.

Pur in questa situazione drammatica e con mezzi limitatissimi, Cuba è riuscita a produrre vaccini che sono risultati più efficaci contro il COVID di quelli brevettati privatamente dai colossi del farmaco, ma che paradossalmente non sono esportabili a causa del bloqueo.

Di ritorno da Cuba Paolo Ferrero ci porterà una testimonianza diretta della situazione cubana nella sua specificità.
Vi aspettiamo.

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PS.

Si ricorda che è presente in questo sito il quaderno 58 dedicato alla figura del rivoluzionario Che Guevara.

Di seguito la canzone di Francesco Guccini sul CHE:

Opuscolo Sinistra

Giorgio Amico

“La sinistra” di Sergio Dalmasso. Un libro da leggere

Opuscolo Sinistra

Non sono molti i ricercatori che ancora si ostinano (meritoriamente) a lavorare sulla storia del movimento operaio della seconda metà del Novecento. Un lavoro controcorrente, ma necessario per sfatare quella pesante leggenda nera su presunti “anni di piombo” in cui ogni forma di dissenso viene ormai direttamente o indirettamente assimilata al terrorismo.

I più interessanti, almeno per me, sono i “non accademici” proprio perché ancora mantengono un approccio “politico” e non banalmente sociologico o culturale a quella stagione. Politico ovviamente nel senso più autentico del termine, non certo un appiattimento nostalgico del tipo “come eravamo” su quei personaggi e quei fatti, ma piuttosto la volontà di farne risaltare l’autentica natura che appunto fu di aperta contestazione dell’ordine sociale esistente e di ripensamento delle esperienze del movimento operaio ufficiale, partiti e sindacati, che ormai mostrava i segni di una crisi che si sarebbe presto rivelata, come testimonia lo stato attuale della sinistra, irreversibile.

Un tentativo esauritosi velocemente, ma di tutto rispetto soprattutto se confrontato ai balbettii inconcludenti della sinistra attuale che si dichiara ancora alternativa, ma non sa andare oltre i richiami moralistici alle esternazioni di Papa Bergoglio contro le ingiustizie sociali o nei casi peggiori mettersi a rimorchio dei No vax e persino dei Talebani. Una sinistra prigioniera di un eterno presente e di un analfabetismo politico che davvero fa impressione.

Non si può quindi che segnalare con estremo piacere “La Sinistra. Una stagione troppo breve”, l’ultimo lavoro di Sergio Dalmasso, da decenni impegnato, lo ricordiamo fra l’altro redattore della bella rivista “Per il sessantotto”, nella ricostruzione attenta delle voci più interessanti di quella “altra sinistra”, alternativa ai grandi partiti ufficiali.

Una realtà fatta di organizzazioni, riviste e personaggi che rischiano oggi di essere dimenticati o trascurati proprio da chi ogni giorno proclama la necessità di un rilancio di un sinistra autentica ancora capace di riflettere sul presente in un rapporto autentico con la classe.

Nel suo libro, agile, ma estremamente attento ai dettagli, Dalmasso ricostruisce la genesi e la storia di una rivista che tra il 1966 e la fine del 1967 più di ogni altre seppe documentare cosa stava incubando nelle viscere di un neocapitalismo che pareva aver risolto le sue contraddizioni a partire dal conflitto capitale-lavoro. E lo fece non limitandosi ad un’Italia dove si manifestavano i primi importanti segnali di una ripresa di combattività operaia e soprattutto di un crescente disagio giovanile che iniziava a trasformarsi in protesta organizzata, ma offrendo ogni mese una analisi attenta di ciò che di significativo avveniva nel mondo: dalle guerriglie latinoamericane, alla rivolta dei neri negli Stati Uniti, alla Rivoluzione culturale cinese, alla guerra del Vietnam.

Articoli ovviamente non esenti da critiche, “La Sinistra” contribuì molto al diffondersi di quella mitologia terzomondista fonte poi di errori anche gravi, tipo l’esaltazione acritica della lotta armata come pianta trapiantabile a piacere in ogni clima che avrebbe poi generato una deriva tragica. Ma cosa molto più importante per quella generazione, la mia, che si apriva allora alla politica, “La sinistra” rappresentò una boccata d’aria fresca e una vera e propria iniziazione ad una militanza rivoluzionaria che nell’internazionalismo, ovvero in una visione globale della lotta di classe a livello planetario, trovava il suo principale fondamento.

Grazie a “La sinistra” iniziammo a sentirci parte di un movimento di lotta che travalicava i confini nazionali. E questo per chi militava in piccole organizzazioni o ancor più piccoli collettivi locali, non poteva che essere motivo di speranza e stimolo a continuare senza timori ad avanzare sul cammino intrapreso.

“La sinistra” prepara il ’68 e per questo muore proprio nel momento in cui le armi della critica si stavano trasformando con una rapidità travolgente in pratica di massa. “Ben scavato, vecchia talpa” verrebbe da dire riprendendo una celebre frase del padre di tutti i futuri cattivi maestri.

Sergio Dalmasso
La sinistra. Una storia troppo breve
Edizioni Punto Rosso
Milano, 2021
13 euro

Recensione di Giorgio Amico, pubblicata il 21 agosto 2021 su VENTO LARGO

 

LA SINISTRA

Quando c’era La Sinistra di Diego Giachetti

Spesso gli storici sono portati a scegliere determinati argomenti di studio, rispetto ad altri, perché mossi consapevolmente o meno da ragioni attinenti alla propria esperienza di vita, tanto è vero che si è coniata la dizione di “storia come autobiografia”.

Raccontando di fatti specifici, collocati nelle loro circostanze storiche, nello spirito del tempo, lo storico, sovente restio a produrre memoria, ci parla alla lontana di se stesso, di eventi vissuti e formativi.

Lo confessa, con discrezione, Sergio Dalmasso (La Sinistra, una stagione troppo breve, Edizioni Punto Rosso, Milano 2021) quando ricorda che ai tempi in cui era studente liceale aspettava l’uscita del mensile La Sinistra con interesse, ancora consapevole oggi che quella lettura gli è stata molto utile, come probabilmente lo fu a quel tempo per un’area di militanti politici in quel particolare momento storico di fine anni Sessanta, caratterizzato da importanti avvenimenti nel mondo e in Italia.

A spingere La Sinistra c’era una giovane casa editrice, la Samonà e Savelli (poi solo Savelli); essa favorì la discussione politica e teorica dando spazio, accanto alla ristampa di classici di Marx, Engels, Lenin, Trotsky, ad autori non solo di area trotskista ma di diverse sensibilità politiche e culturali del movimento operaio e della sinistra rivoluzionaria, pubblicando a caldo anche testi di Fidel Castro e Che Guevara.

La Sinistra fu un azzeccato “prodotto commerciale”. Subito mille abbonati, destinati in breve tempo a diventare 2600, secondo quanto si leggeva nel resoconto comparso sull’ultimo numero del mensile del novembre-dicembre 1967. Le vendite oscillavano tra le 7-8 mila copie, specie in occasione di numeri dedicati al Vietnam e all’America Latina.

Si trattava di dati che reggevano bene il confronto con altre riviste di partito come il settimanale comunista Rinascita, Mondo Operaio del Partito socialista e Mondo Nuovo del Partito socialista di unità proletaria (Psiup).

Prima rivista mensile (di questa si occupa l’autore), dall’ottobre 1966 al dicembre 1967, poi settimanale, cessa le pubblicazioni nella primavera del 1968. I temi dominanti della prima serie sono la guerra nel Vietnam, la situazione nei paesi dell’America Latina, la giovane rivoluzione cubana, la lotta di classe negli Stati Uniti e il black power, il contrasto Cina-Unione Sovietica, la rivoluzione culturale, il Medio Oriente.

Rispetto alla politica interna primeggiano le analisi critiche sulla partecipazione socialista al governo e la relativa programmazione economica, sul ruolo e la strategia dei sindacati nella lotta operaia, sul nuovo Psiup. Sul piano teorico-storico studi su Gramsci e il dissenso nel Pci negli anni Trenta, su Lenin e l’imperialismo.

Vi collaborano esponenti del dissenso ingraiano maturato nel PCI, del Psiup, della sinistra sindacale Cgil, della sezione italiana della IV Internazionale, inizialmente i più convinti promotori della rivista, sia Savelli che Samonà ne fanno parte, nonché alcuni intellettuali e studiosi di fama internazionale.

La dirige Lucio Colletti, che per molti anni aveva militato nel Pci, ed era noto come teorico marxista rigoroso, di cui Dalmasso traccia impietosamente la sua successiva parabola declinante, che lo porterà, come Giulio Savelli d’altronde, nelle file berlusconiane.

Mal accolta dai comunisti, l’uscita del primo numero provoca la radiazione dal partito dell’editore Giulio Savelli, la rivista si propone di rilanciare il discorso unitario di una sinistra operaia e di classe, nella prospettiva di favorire l’incontro tra tutte le forze deluse dalle vie riformiste al socialismo di matrice socialista e comunista.

Un generoso tentativo di inserire una “terza via” politica e culturale rispetto all’operaismo e al marxismo-leninismo importato dalla Cina maoista.

Si ricava quindi un suo spazio in quella che a posteriori verrà chiamata la stagione delle riviste, iniziata nella metà degli anni Cinquanta e in piena fioritura negli anni Sessanta, ricchi di dibattito culturale, politico, di tensioni a livello nazionale e internazionale, di rimessa in discussione di certezze e dogmi ingessati dagli anni della Guerra fredda. Un “disgelo” di domande, di creatività, di proposte e di propositi facilitati dalla speranza di vivere in un mondo che sarebbe presto cambiato, rinnovandosi e ponendo fine a vecchie diseguaglianze, oppressioni, guerre e violenze.

Si trattò di una stagione intensa ma breve, di un’esperienza di confronto politico e di elaborazione che non trovò seguito nel biennio delle lotte studentesche e operaie di lì a venire, quando collaboratori e lettori di quella rivista si dispersero nel mare del nascente movimento studentesco per poi riaggregarsi nel variegato e vivacissimo arcipelago dei “gruppi” della nuova sinistra rivoluzionaria. Forse questa è una delle ragioni per cui, tra le riviste di quella stagione, essa è la meno ricordata. Benvenuto quindi lo strappo dall’oblio di Sergio Dalmasso.

4 maggio 2021
DIEGO GIACHETTI

Fonte: dalla parte del torto

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