Al lupo! Al lupo!
Franco Di Giorgi
E così, alla fine, a causa della continua, implacabile e distruttiva rivalità tra i guardiani, i lupi e i lupetti, da anni costretti nel loro recinto, si sono trovati inaspettatamente liberi, dinanzi a una prateria sterminata.
Dopo quasi ottant’anni, per eccessiva sicurezza e per alterigia, i guardiani finivano addirittura per giocare con quei lupi, i quali continuamente, con i loro cuccioli, ringhiavano, scalpitavano e zampettavano sempre più vicini alla porta del recinto.
In alcuni momenti poi, facendo comunque attenzione che lo sportello non venisse mai aperto, quasi a scherno e tenendo bene in vista le chiavi del recinto, il gioco preferito dei guardiani era quello, ben noto già da Esopo, di gridare “Al lupo! Al lupo!”
Questa infantile ostentazione di potere se da un lato rassicurava una parte degli abitanti del paese, dall’altro lato non faceva che aumentare il livore e il mai sopito desiderio di vendetta nei lupi e in quell’altra parte di abitanti che li difendevano.
Ora, però, che nel recinto, in quella specie di Strafkolonie, ci sono loro, cioè i guardiani, che continuano inutilmente a gridare con più enfasi “Al lupo! Al lupo!“; ora che, in questo gioco delle parti, i ruoli si sono invertiti, i lupi a loro volta deridono gli ex guardiani con tradizionali frasi ad effetto come “homo homini lupus“, suscitando in questi naturalmente altrettanto livore e un mesto digrignar di denti.
Ora, infatti, anche i lupi, i nuovi guardiani, possono finalmente ritornare ad essere quello che sono sempre stati, vale a dire semplicemente dei lupi: possono cioè finalmente tornare ad ululare ai quattro venti e alla luna o al sole e in pieno giorno quelle parole che per troppo tempo hanno dovuto sottacere e soffocare in deboli guaiti, possono ostentare liberamente quegli atteggiamenti lupeschi che in passato e da reclusi potevano solo accennare o abbozzare…
Continua
Ivrea, 30 maggio 2023
Articolo completo di due pagine presente nel file pdf seguente:
L’ANORMALITÀ E L’AMBIGUITÀ DELLA SITUAZIONE ITALIANA
Franco Di Giorgi
Nelle elezioni politiche del 25 settembre 2022, dei 51 milioni di Italiani aventi diritto si è recato alle urne solo il 63,7% (nelle precedenti elezioni del 2018 era il 73%), ossia 32,64 milioni di persone.
Ciò significa che il 37% degli Italiani non ha votato o ha lasciato scheda bianca.
Questa percentuale equivale a 17 milioni di cittadini. Dei 32,64 milioni, un po’ più di 12 milioni di voti sono andati al centro-destra, i restanti 10 milioni al centro-sinistra e al M5s. Il Rosatellum, la legge elettorale ancora in vigore, consente di governare a chi prende più voti.
In Italia, in un Paese di 51 milioni di aventi diritto di voto, governa dunque la coalizione che ha preso 12 milioni di voti a fronte di 32,64 milioni di votanti, perché 17 milioni non ha votato. Il numero degli astenuti è quindi maggiore sia di quello di coloro che hanno fatto vincere il centro-destra sia di quello di coloro che, per la miopia dei loro leader, non sono riusciti a far vincere il centro-sinistra.
Sicché 12 milioni di votanti determinano la direzione politica dell’intero Paese, cioè la vita di 59,11 milioni di abitanti (dati del 2021). Circa un quinto della popolazione elegge un governo che sfacciatamente sembra fare delle leggi solo per quelli che l’hanno eletto e non per tutti gli altri.
In un Paese normale questo non dovrebbe accadere, perché un governo democraticamente eletto deve governare per tutti, non solo per pochi. Anche se coloro che l’hanno eletto hanno convinzioni e interessi non solo differenti da tutti gli altri, cioè dalla maggioranza del Paese, ma diversi anche rispetto al dettato della Costituzione, che è la Carta di tutti gli italiani.
Ma tant’è. A sostegno di quella anormalità, l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana ha infatti recentemente dichiarato: “Io sono stata votata e faccio quello per cui mi hanno scelto gli italiani” (“L’inchiesta”, 10 febbraio 2023). Lo ha detto a Bruxelles, al vertice straordinario europeo del 9 febbraio, durante il quale si sentiva più vicina al gruppo di Visegrád che non alla Francia e alla Germania.
D’altronde è da un po’, almeno dal 2004, che si parla di Europa a due o tre velocità, di Stati dell’Eurozona e di Stati che, pur facendo parte dell’Europa, non adottano l’euro, come ad esempio la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Polonia, la Romania.
La vicinanza dell’Italia al gruppo di Visegrád dipende sia dalla politica migratoria e dei richiedenti asilo, sia dalla politica relativa ai diritti civili. La sua distanza da quel gruppo, invece, almeno dall’Ungheria, dipende dal diverso allineamento alle due superpotenze impegnate nel loro ennesimo scontro, stavolta in Ucraina.
Da questo punto di vista, infatti, l’Italia è lacerata: da un lato si sente vicina all’Ungheria, dall’altra non può che essere vicina al blocco franco-tedesco e all’intera Unione Europea. L’Ungheria sostiene la Russia. L’Italia e tutti gli altri Paesi europei sostengono invece gli Stati Uniti, auspicando l’ingresso dell’Ucraina nella Nato.
Questa sua lacerazione è quindi duplice, perché in rapporto alla guerra russo-ucraina è con gli Stati Uniti, con l’Europa e con la Polonia, mentre in rapporto sul tema della migrazione e dei diritti civili è con l’Ungheria e quindi con la Russia e con la Polonia, ma non con il resto dell’Unione Europea.
L’attuale governo italiano è pertanto costretto a muoversi ambiguamente, cioè a giocare contemporaneamente su due tavoli, quello nazionale e quello internazionale.
Un gioco peraltro non nuovo nella storia politica da cui proviene l’ala di estrema destra di questo governo, specie durante i primi anni di politica interna del governo fascista, un secolo fa.
Da un lato, infatti, il duce doveva mostrare un volto legalitario e istituzionale, dall’altro e contemporaneamente non poteva non dare ascolto alle pretese di quelle squadracce che lo avevano alacremente sostenuto nella sua elezione.
Come in passato, come un secolo fa, non si può inoltre non notare in maniera sempre più evidente il delinearsi sulla scena internazionale di due alleanze, di due coalizioni opposte all’interno della stessa Unione Europea, pronte a fronteggiarsi non solo con le armi della politica, ma anche purtroppo, specie in questo clima surriscaldato dalla guerra in Ucraina, con armi vere e proprie.
Avendo con ciò alle spalle non solo le due solite superpotenze, ma anche altre nuove superpotenze, dotate anch’esse di testate nucleari.
Le premesse per il Terzo conflitto mondiale (forse l’ultimo), come si vede, ci sono tutte. Compresa quella dell’immancabile capro espiatorio, cioè dei senza patria, dei più deboli, dei perseguitati, degli scarti di un’umanità spersonalizzata, pronta ad essere sacrificata ancora una volta sull’altare delle nuove patrie sovraniste.
Ivrea, 31 maggio 2023
Pubblicato su www.sergiodalmasso.com
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Storia Rifondazione comunista cuneese
– Ieri, sabato 27, sono tornato a Cuneo per presentare il quaderno del CIPEC che raccoglie una breve “storia” di Rifondazione nel cuneese.
Alessio Giaccone, Sergio Dalmasso, Nadia Revello e il bel publico al circolo Rosa Luxemburg di Cuneo
Alessio Giaccone e Sergio Dalmasso
Storia Rifondazione Comunista Cuneese, il quaderno è uscito a stampa, ma si trova on line: Quaderni del CIPEC, n. 69. Nulla di definitivo o di importante, ma l’occasione per riflettere su anni della nostra storia, nazionale e locale.
E’ uscito anche il quaderno numero 70 che contiene due testi importanti:
– alcune poesie che Gianni ALASIA, grande sindacalista torinese mi diede anni fa, chiedendomi di pubblicarle solo dopo la sua morte. Sono testimonianza di una grande figura, non solamente “politica”:
“Altri son venuti e altri verranno. Quanto è stato buono e vero ritorna sempre”
“Un giorno, la nostra primavera del quarantacinque sboccerà per i nostri amati nipotini”
—- uno studio di Giuseppe Gambino su Karl LIEBKNECHT.
Ricordo che sulla figura del grande dirigente tedesco, morto con Rosa Luxemburg, non esistono studi recenti. Questo testo, scaricabile anche on line, copre, quindi, un vuoto e spero venga conosciuto e utilizzato.
Al lavoro e allo studio.