I rossi nella Granda, Copertina del quaderno CIPEC Numero 21

Indice generale

Prefazione de I Rossi nella Granda pagina 5

Introduzione p. 7

Capitolo primo p. 11

I partiti politici nel cuneese dal 945 al 1958 p. 11

A) La sinistra dal referendum al 1948 p. 11

B) Il Fronte popolare e il 18 aprile p. 12

C) I primi anni ’50 e la “legge truffa” p. 12

D) La svolta del PCI p. 13

E) Il caso Giolitti p. 15

F) 1958: il PCI è un corpo estraneo alla provincia? p. 15

G) I socialdemocratici p. 16

H) Il partito repubblicano p. 17

I) Il partito liberale p. 17

L) La DC p. 18

Capitolo secondo p. 22

PCI e PSI alle soglie del centrosinistra p. 22

A) Il PCI cuneese dopo la sconfitta p. 22

B) Autonomisti e carristi nel PSI cuneese p. 22

C) Il governo Tambroni e l’antifascismo. Nasce il centro sinistra p. 23

D) Le politiche del ’64. Il PCI non è fuori gioco p. 40

Capitolo terzo p. 49

Gli irripetibili anni ’60 p. 49

A) Nasce il PSIUP p. 49

B) L’unificazione socialista p. 61

C) I giovani del Vietnam p. 75

Capitolo quarto p. 91

La provincia cambia p. 91

Capitolo quinto p. 95

Il ’68 e il ’69 nella provincia bianca p. 95

A) L’anno degli studenti p. 95

B) L’anno degli operai p. 113

C) Tutto come prima? p. 136

D) I gruppi p. 161

E) Occitani e provenzali p. 181

Capitolo sesto p. 196

La grande crescita p. 196

A) La dispersione p. 196

B) Il colpo di Stato l’ha fatto la DC 215

D) La spallata del 1975 p. 246

Capitolo settimo p. 265

L’occasione perduta p. 265

A) Grazie DC, ti ricorderemo! p. 265

B) Il 20 giugno. L’unità nazionale, il disincanto p. 283

Conclusioni p. 292

Periodici e riviste consultati p. 294

Appendice p. 295

Recensioni p. 298

Maggio 2002

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La provincia Granda (di Cuneo)

Introduzione

Il mio studio “Il caso Giolitti e la sinistra cuneese nel dopoguerra” (Ed. La Torre, Alba, 1987) continua ad essere, a distanza ormai di alcuni anni, l’unico tentativo di analizzare la storia e la tematica della sinistra politica (e in parte di quella socialista), in provincia di Cuneo, dopo il 1945, limite finora quasi invalicabile per lavori su simili tematiche.

A questo si è solamente aggiunta, negli ultimi tredici anni, la bella tesi di laurea di Carlo GIORDANO sul PCI dal dopoguerra al ’58 (cfr. Il doppio accerchiamento del PCI in provincia di Cuneo: 1945-1958, in Il presente e la storia, Cuneo, n. 46, secondo semestre 1994).

Il mio lavoro, traendo lo spunto dal caso Giolitti (il dissenso del parlamentare verso le scelte del PCI dopo il drammatico 1956 e il suo passaggio al PSI), compiva, di fatto, una storia del PCI e del PSI locali, dalla liberazione alle soglie, a livello nazionale, del centro sinistra, non dimenticando la breve e sfortunata vicenda del Partito di Azione e i difficili anni della CGIL, nella sua stagione, forse, più dura.

Negli anni ’50 si modifica, profondamente, la struttura economica della provincia (1) e, conseguentemente, cambiano anche i gruppi dirigenti dei partiti e il loro modo di rapportarsi alla società.

Lo scontro frontale che ha caratterizzato gli anni della guerra fredda pare attenuarsi con la nascita del centro sinistra, gli echi della Chiesa conciliare, la tematica del dialogo.

Se il centro sinistra, in provincia, non nascerà mai e rimarrà sempre la speranza di alcuni ristretti circoli democratici, vengono riletti e rivalutati, anche se in modo ufficiale, e, a volte, strumentale, gli anni della resistenza, su cui era calato il silenzio, si opera un ricambio nei gruppi dirigenti di molti partiti, si modificano, lentamente e in positivo, i rapporti tra i sindacati.

L’incremento della piccola struttura industriale della provincia vede nascere a Cuneo la maggiore azienda (Michelin) e crescere Alba che ne diventa il secondo centro, mentre declina irrimediabilmente Mondovì; l’aumento della scolarità (sempre minore rispetto alla media regionale), produce modificazioni anche nella tradizionale struttura familiare, continua il drammatico spopolamento della montagna e della Langa (2).

Permangono, ovviamente, molte delle caratteristiche specifiche del cuneese:
la mancanza quasi totale di tradizione e cultura operaia (eccettuati alcuni nuclei molto isolati);
il tradizionalismo del ceto medio;

la convinzione, senso comune, della immodificabilità della realtà;

il forte peso della gerarchia ecclesiastica, non solo nei piccoli centri e non solo sul ceto contadino.
I partiti di sinistra si presentano all’appuntamento con gli anni ’60, in situazioni diametralmente opposte:

il PSI è nel suo momento di maggior crescita (dopo il netto ridimensionamento degli anni ’46-’49), con un gruppo dirigente nuovo e agile, un forte consenso intellettuale, la capacità di coprire un ampio spazio politico lasciato libero dalle difficoltà di altre formazioni (il PCI scioccato dal caso Giolitti e dalla mazzata del 1958, il PSDI che ha perduto importanti dirigenti, il PRI quasi inesistente, lo stesso PLI indebolito dal voto del ’58, colpito dalla miniscissione radicale e capace di rilanciarsi solo sul tema nazionale della opposizione al centro sinistra).

Pesa sui socialisti il fortissimo scontro interno che porterà la sinistra, nel 1964, a formare il PSIUP,

a sua volta diviso, in tutta la sua breve storia (8 anni), tra la spinta a coprire lo spazio del vecchio PSI, appiattendosi molto sul PCI, e la tendenza a formare una nuova forza politica, originale e slegata dalla tradizione.

Il PCI è, invece, nel suo momento di maggiore debolezza. Dal ’58 al ’60 senza parlamentari e consiglieri provinciali, ha perduto un terzo dei voti alle politiche del ’58 ed è, per di più, scosso da un forte scontro di linee tra l’ala che ha dato vita al movimento di Rinascita e quella più legata ad uno stretto rapporto con la realtà di fabbrica e ad una concezione di partito molto rigida, tesa a metterne in luce la diversità e l’alterità.

Solo con gli anni ’60, riuscirà ad uscire dal forte isolamento e ad instaurare rapporti con settori di società a lui tradizionalmente lontani.

In forte modificazione la DC che, con l’elezione a parlamentari di Sarti e Baldi, crea un asse che la reggerà per più di 20 anni.

Ancor quasi inesistente il PRI, formato da un gruppo di intellettuali antifascisti cuneesi e ad un forte nucleo nelle Langhe, erede della diaspora del partito dei contadini.

In difficoltà pure socialdemocratici e liberali, in provincia molto più consistenti che a livello nazionale. Tutta interna al fronte laico la piccola, ma interessante scissione radicale.

È la seconda metà del decennio a portare nuovi, inaspettati mutamenti.

Anche in provincia, la protesta studentesca del ’68 tocca tutti i maggiori centri, produce un dibattito e un clima intellettuali che il cuneese non conosceva dall’immediato dopoguerra.

Consistente lo spostamento, su posizioni di estrema sinistra, di singoli o gruppi provenienti da posizioni cattoliche.

Le federazioni giovanili della sinistra sono investite dalla bufera, come pure l’associazionismo cattolico; nascono i primi embrioni di quelli che saranno, poi, i “gruppi”, emergono le prime critiche “da sinistra” ai partiti storici.

Forte la crescita dei sindacati che, proprio in questi anni, non solo stabiliscono i primi rapporti unitari, ma escono (soprattutto la CGIL) dall’isolamento, entrano in fabbriche e in settori da cui erano sempre stati esclusi, per la prima e forse unica volta toccano sfere politiche (il territorio, le scelte politico-economiche …).

Se le elezioni del ’72 segnano uno stallo (fermo il PCI, non ancora in grado la nuova sinistra di affrontare battaglie elettorali, mentre il dissenso cattolico non si riconosce nel MPL), il voto sul divorzio (maggio ’74) mostra una provincia diversa, più laica, soprattutto nelle città, in cui si sono modificati nettamente il peso e il ruolo delle parrocchie, in cui anche se l’impatto delle lotte operaie è minimo, vi sono state profonde modificazioni nel costume, nei rapporti interpersonali, nello stesso modo di concepire la politica ed il voto.

È il PCI, anche per il forte ingresso di nuovi quadri a trarre i maggiori vantaggi dal forte desiderio di cambiamento. Il biennio 1975/1976 lo vede toccare il suo massimo storico, parallelamente allo stallo socialista e all’emergere di DP e radicali.

Già nel voto del ’76, però, la DC, anche nel cuneese, blocca ed inverte la tendenza al calo,

riproponendo la sua egemonia, fino ad allora intoccata, a livello politico, economico ed anche ideologico.

Questo testo, come già il precedente, non ha la pretesa di essere un compiuto saggio storico, ma mira semplicemente a coprire il grande vuoto dato dalla mancanza di qualunque studio sulle forze politiche e sulla stessa storia della provincia dopo il 1945.

Mancanza grave perché impedisce spesso di comprendere le radici di tanti problemi attuali, perché vi è la progressiva scomparsa non solo di molto materiale (documenti, archivi …) ma anche di alcuni degli stessi protagonisti, perché anche nei pochi giovani che si affacciano oggi alla politica attiva, pare mancare una capacità di riflessione e di analisi storica, anche sul passato non lontano.

Spero che su alcuni dei nodi evidenziati da questo testo (lo scontro interno in PCI e PSI nei primi anni ’60, il filone radical-socialista a Cuneo così presente e duraturo già fin dal Partito d’Azione, la presenza della nuova sinistra nelle sue varie componenti, il dissenso cattolico e i suoi rapporti con i partiti, soprattutto le vicende del sindacato in un’area dove così fragile e debole è la classe operaia) e su alcune delle figure nominate, siano possibili studi più approfonditi e specifici, molti magari, svolti con differente metodologia.

Gli strumenti utilizzati per questo lavoro sono i periodici locali tra il ’58 e il ’76:

La Voce, settimanale e poi mensile del PCI, Lotte Nuove, organo del PSI, La Vedetta, della DC, Il Subalpino, del PLI, La Guida, settimanale della diocesi cuneese, oltre ad alcuni altri settimanali diocesani della provincia, e alcuni numeri di altri periodici che hanno avuto vita più breve (da Battaglia democratica a La sentinella delle Alpi, da Dentro i fatti a Contare sulle proprie forze).

Questi fogli, organi in gran parte dei vari partiti, pur con gravi limiti e pur rispecchiando, spesso, più le parole d’ordine nazionali che le tematiche locali, riescono, ancor oggi, a distanza di anni, ad offrire uno spaccato del dibattito politico in provincia, notizie sulle vicende interne delle singole formazioni politiche; la loro soppressione, a partire dai primi anni ’70, renderà, in futuro, molto più complesso uno studio sulle vicende storico-politiche del cuneese.

Si sono tenuti presenti i non molti studi sulla sinistra italiana negli anni ’60-’70 e la pubblicistica, dai quotidiani a Rinascita, da Mondo operaio all’arcipelago delle riviste della nuova sinistra.

Molte, inoltre, le testimonianze raccolte dai diretti protagonisti, testimonianze che spesso ripropongono diverse interpretazioni dei fatti e polemiche ancor vive.

Per queste, ringrazio Lucia Canova, Elvira Marescotto, Mila Montalenti, Luigi Borgna, Pietro Panero, Attilio Martino, Mario Romano, Walter Botto, Mario Pellegirno (Grio), Eraldo e Liliana Zonta, Beppe Costamagna, Mario Giovana, Alberto Cipellini, Franco Viara, Duccio Sciolla, Giovan Battista Fossati, Domenico Romita, Marcello Garino, Marcello Faloppa, Giuseppe Trosso, Franco Angeloni, Mario Pecollo, Mario Martini, Dino Giacosa, Carlo Benigni, Giuseppe Giordana.

NOTE
1) Cfr. Valerio CASTRONOVO, Piemonte, Torino, Einaudi, 1977.
2) Cfr. su questo tema i due magnifici testi di Nuto REVELLI, Il mondo dei vinti e L’anello forte, Torino, Einaudi, 1977 e 1985, centrati certo su un mondo che sta scomparendo, ma che ha come conseguenza gli squilibri attuali.

Sergio Dalmasso