Quaderno CIPEC Numero 43

Figli dell’officina

Stampato presso il Centro Stampa della provincia di Cuneno, marzo 2010

Indice generale

Introduzione p. 3

Figli dell’officina, di Lugi Poggiali p. 5

Il secondo biennio rosso. Per una riflessione. Quarant’anni dopo., di Sergio Dalmasso p. 55

Biancia Giudetti Serra, di Gianni Alasia p. 67

Luigi Cortesi, comunismo e problemi globali, di Sergio Dalmasso p. 69

Quaderni C.I.P.E.C. p. 75

C.I.P.E.C. Attività p. 79

giovedì 17 giugno 2010

Articolo di presentazione del quaderno Figli dell’officina, quaderno n. 43

Luigi Poggiali, Figli dell’officina, quaderno n. 43 del CIPEC, Cuneo, 2010.

Il CIPEC (Centro di iniziativa politica e culturale) è stata, negli anni ’80, associazione nazionale, vicina a Democrazia Proletaria, ed ha svolto lavoro di dibattito e di formazione culturale, volto in particolar modo a recuperare e proporre un marxismo spesso sconosciuto o minoritario (Lukacs, Korsch, Bloch, Althusser…), a ricercare un filo rosso spezzato, a legare prassi politica a riflessione teorica.

Non so se, oggi, la sigla viva in luoghi diversi dal cuneese, ma qui il lavoro procede da 25 anni con convegni, seminari, dibattiti.

Tra gli ospiti, Geymonat, Moscato, Spinella, Bellofiore, Collotti- Pischel, Dinucci, Pirella, Santarelli, Melandri, Cortesi, La Valle, Girardi, Ferrero, Magri, Amodei, Capanna, Agnoletto, Menapace…, a testimonianza del tentativo di coniugare temi diversi, di legare il pensiero marxista con ecologia politica, pensiero di genere, pace e problemi globali, e soprattutto della volontà di non slegare la cultura dall’impegno politico e sociale.

La pubblicazione di quaderni di ricerca è altro aspetto, complementare, di questa attività.

In numero, prima di tre, oggi di due all’anno, hanno raccolto testimonianze di militanti politici e sindacali, episodi della vita dei partiti e sindacati locali, pubblicato ricerche e scritti su figure e pagine della storia del movimento operaio non solamente locale.

Figli dell’officina, al centro del quaderno n. 43, è uno scritto (un centinaio di cartelle battute a macchina) di Luigi Poggiali, livornese, per decenni operaio nelle fabbriche del torinese, oggi, a più di settant’anni, abitante in un paese di montagna della provincia di Cuneo.

Poggiali ci racconta il biennio ’68-’69 a Torino, dal punto di vista di un operaio immigrato nella maggiore città operaia italiana. Le prime pagine ci raccontano del primo maggio 1969 in cui le dinamiche delle fabbriche si intrecciano alla dimensione internazionale.

Le immagini di Mao, Ho Chi Min, Guevara, la certezza nella vittoria del Vietnam si sommano alle lotte studentesche e alla ripresa di quelle operaie su scala non solamente nazionale.

Già qui emerge la scelta “operaista”, a favore dei gruppi, dell’autore che esprime le critiche al “revisionismo” del PCI e la certezza nell’auto organizzazione della classe che salti la mediazione sindacale.

Continuo l’incontro con gli studenti, con le proposte delle singole organizzazioni.

La contestazione al comizio del generale De Lorenzo, l’eco del maggio francese, le prime assemblee operai- studenti, con la babele di proposte, linguaggi e l’esprimersi di una dimensione politica e personale (la simpatia per una studentessa, frenata dalla timidezza e dalle troppe differenze sociali e culturali).

Quindi, il “giorno più lungo”, il 3 luglio 1969, con gli scontri di corso Traiano: le tensioni del lavoro operaio si sommano a quelle del quartiere proletario, al problema della casa, degli affitti, dei prezzi.

La scelta dell’autore è univoca e netta.

La sua vita è frenetica, vissuta di corsa, tra assemblee, volantini, documenti, discussioni teoriche, problemi quotidiani.

Pochi giorni dopo gli scontri, si tiene a Torino l’assemblea nazionale delle avanguardie operaie.

Nascono, su due diverse analisi della fase e due differenti proposte strategiche, Lotta Continua e Potere operaio:
Il Professore era subito entrato in contatto con il nucleo di avanguardia del Movimento studentesco e si era messo d’impegno, attraverso le assemblee studenti- operai, per avere i collegamenti tra fabbrica e fabbrica e tra fabbrica e scuola. Prendeva in mano la situazione… (pg. 27).

Le ferie, nella sua Toscana, servono a Luigi per ritrovare la dimensione del paese e della campagna, quasi una pausa “bucolica” dopo tante tensioni. In uno scritto in cui l’elemento letterario è soverchiato dalla cronaca politica, dal continuo richiamo ai fatti, queste pagine sembrano richiamare non solo gli affetti familiari, ma la novellistica toscana fra ‘800 e ‘900.

Il rientro in fabbrica, l’autunno, le manifestazioni, il contratto sono narrati più velocemente e interrotti bruscamente dalle due pagine finali che sintetizzano la fine di una stagione, la scomparsa dei gruppi, la caduta del “socialismo reale”, i morti della Thissen.

A questo, Luigi Poggiali, contrappone il permanere della speranza, della certezza di essere stato dalla parte giusta e la fiducia, ancora in questo difficile 2010, nel comunismo che immagina:
Come il sole quando sorge il mattino, su un mondo privo di nubi, nella luce del riscatto sociale.

Un piccolo contributo, certo, ma da non sottovalutare.

Una tessera di mosaico nella conoscenza di una grande stagione politica.

Sergio Dalmasso