Green Pass

Green Passo

AUSPICI, DELUSIONI E SOSPETTI A PROPOSITO DELLA PANDEMIA

di Franco Di Giorgi

Nella prima fase dell’attuale pandemia (inverno-estate 2020), le misure draconiane che i governi (non solo quello italiano) sono stati costretti a prendere per contenere il rovinoso contagio, specialmente il lockdown, avevano fatto vacillare con nostro grande stupore i quattro rapporti fondamentali su cui si regge l’intera impalcatura della nostra esistenza: quello con sé stessi (solitudine), quello con gli altri (distanziamento) e con il mondo (confinamento), quello con il tempo e lo spazio (dilatazione temporale, restringimento spaziale), e quello con la morte, nostra e altrui (caducità, transitorietà).

Proprio in quanto frutto di una originaria gestione malsana del creato in nome del progresso, la crisi pandemica ha rivelato i nostri punti critici, che sono insieme di forza e di debolezza, evidenziando soprattutto le contraddizioni e quindi le fragilità costitutive dei nostri sistemi, a partire da quello sanitario, da quello economico e da quello politico.

Tuttavia, l’auspicio che ognuno, a tutti i livelli, avvertiva in sé era, in questo primo periodo, che quell’improvviso scuotimento, quell’inattesa messa in crisi dei fondamenti della nostra convivenza potesse far superare con più coscienza quelle contraddizioni sistemiche e con esse anche le emergenze pandemiche.

Con la seconda fase, però (estate-inverno 2020), cioè con la riapertura dei lidi, delle discoteche e delle scuole, e con il conseguente aumento dei contagi e delle vittime, quell’intimo auspicio, quel debole filo di speranza si è spezzato, specie a seguito del moltiplicarsi di coloro che non credevano né nella letalità del virus, né tanto meno nelle misure prese per fronteggiarlo.

Una diffidenza che non verrà meno nemmeno nella terza fase (inverno-estate 2021), che ha visto l’inaspettato ingresso dei vaccini. Anzi, proprio per la celerità con cui questi sono stati immessi sul mercato mondiale, quella sospettosità si è inasprita sempre di più, fino a trasformarsi in aperte manifestazioni contro le vaccinazioni e, da ultimo, contro il Green Pass, il documento che consente a chi è vaccinato di frequentare in (semi)sicurezza luoghi pubblici.

Ora, certo molte sono le ragioni dei diffidenti (opportunamente cavalcate da politici interessati) che non reggono dinanzi al crescente numero delle persone a cui il Covid-19 ha abbreviato la vita; ma un sospetto, se guardiamo al recente passato, è forse legittimo sollevarlo rispetto a quel documento, anche a fronte delle continue mutazioni del virus.

Tale documento, infatti – come è accaduto giusto vent’anni fa con il crollo delle Torri gemelle, a seguito del quale i governi di tutto il mondo furono legittimati ad introdurre sofisticati sistemi di controllo delle persone -, potrebbe forse essere preso anch’esso a pretesto, come occasione propizia per estendere ulteriormente un tale controllo, almeno (ma forse non solo) in quei paesi a innata vocazione totalitaria.

Ad ogni modo, al di là di questo legittimo sospetto, il Green Pass si propone di conciliare due diversi piani: quello bio-sanitario e quello bio-etico. Nel primo risiede il diritto alla salute e alla cura: è quello che riguarda la vita e la morte delle persone. Il secondo concerne invece non solo il diritto alla libertà individuale (quello che si teme venga leso), ma anche i diritti e i doveri della vita associata, e quindi il rispetto di sé e degli altri.

Giacché è solo avendo cura degli altri che curiamo e salviamo noi stessi. E viceversa. Ci si salva infatti sempre tutti insieme, sforzandosi, nel reciproco rispetto e nel rispetto delle leggi, di conciliare tutte le diverse e persino contrastanti esigenze.

Questo è il senso dell’umanità che ci hanno consegnato i nostri padri costituenti.

Diciamo questo, però, con un certo imbarazzo e anche con un po’ di vergogna, perché in Etiopia, ad esempio, al contrario che da noi, il Coronavirus è l’ultimo dei pensieri.

 

Ivrea, 31 agosto 2021

Opuscolo La Sinistra

“La sinistra” di Sergio Dalmasso. Un libro da leggere

Opuscolo La Sinistra, copertina con CHE GUEVARA

Non sono molti i ricercatori che ancora si ostinano (meritoriamente) a lavorare sulla storia del movimento operaio della seconda metà del Novecento.

Un lavoro controcorrente, ma necessario per sfatare quella pesante leggenda nera su presunti “anni di piombo” in cui ogni forma di dissenso viene ormai direttamente o indirettamente assimilata al terrorismo.

I più interessanti, almeno per me, sono i “non accademici” proprio perché ancora mantengono un approccio “politico” e non banalmente sociologico o culturale a quella stagione.

Politico ovviamente nel senso più autentico del termine, non certo un appiattimento nostalgico del tipo “come eravamo” su quei personaggi e quei fatti, ma piuttosto la volontà di farne risaltare l’autentica natura che appunto fu di aperta contestazione dell’ordine sociale esistente e di ripensamento delle esperienze del movimento operaio ufficiale, partiti e sindacati, che ormai mostrava i segni di una crisi che si sarebbe presto rivelata, come testimonia lo stato attuale della sinistra, irreversibile.

Un tentativo esauritosi velocemente, ma di tutto rispetto soprattutto se confrontato ai balbettii inconcludenti della sinistra attuale che si dichiara ancora alternativa, ma non sa andare oltre i richiami moralistici alle esternazioni di Papa Bergoglio contro le ingiustizie sociali o nei casi peggiori mettersi a rimorchio dei No vax e persino dei Talebani.

Una sinistra prigioniera di un eterno presente e di un analfabetismo politico che davvero fa impressione.

Non si può quindi che segnalare con estremo piacere “La Sinistra. Una stagione troppo breve”, l’ultimo lavoro di Sergio Dalmasso, da decenni impegnato,

lo ricordiamo fra l’altro redattore della bella rivista “Per il sessantotto”, nella ricostruzione attenta delle voci più interessanti di quella “altra sinistra”, alternativa ai grandi partiti ufficiali.

Una realtà fatta di organizzazioni, riviste e personaggi che rischiano oggi di essere dimenticati o trascurati proprio da chi ogni giorno proclama la necessità di un rilancio di un sinistra autentica ancora capace di riflettere sul presente in un rapporto autentico con la classe.

Nel suo libro, agile, ma estremamente attento ai dettagli, Dalmasso ricostruisce la genesi e la storia di una rivista che tra il 1966 e la fine del 1967 più di ogni altre seppe documentare cosa stava incubando nelle viscere di un neocapitalismo che pareva aver risolto le sue contraddizioni a partire dal conflitto capitale-lavoro.

E lo fece non limitandosi ad un’Italia dove si manifestavano i primi importanti segnali di una ripresa di combattività operaia e soprattutto di un crescente disagio giovanile che iniziava a trasformarsi in protesta organizzata,

ma offrendo ogni mese una analisi attenta di ciò che di significativo avveniva nel mondo: dalle guerriglie latinoamericane, alla rivolta dei neri negli Stati Uniti, alla Rivoluzione culturale cinese, alla guerra del Vietnam.

Articoli ovviamente non esenti da critiche, “La Sinistra” contribuì molto al diffondersi di quella mitologia terzomondista fonte poi di errori anche gravi,

tipo l’esaltazione acritica della lotta armata come pianta trapiantabile a piacere in ogni clima che avrebbe poi generato una deriva tragica.

Ma cosa molto più importante per quella generazione, la mia, che si apriva allora alla politica,

“La sinistra” rappresentò una boccata d’aria fresca e una vera e propria iniziazione ad una militanza rivoluzionaria che nell’internazionalismo, ovvero in una visione globale della lotta di classe a livello planetario, trovava il suo principale fondamento.

Grazie a “La sinistra” iniziammo a sentirci parte di un movimento di lotta che travalicava i confini nazionali.

E questo per chi militava in piccole organizzazioni o ancor più piccoli collettivi locali, non poteva che essere motivo di speranza e stimolo a continuare senza timori ad avanzare sul cammino intrapreso.

“La sinistra” prepara il ’68 e per questo muore proprio nel momento in cui le armi della critica si stavano trasformando con una rapidità travolgente in pratica di massa.

“Ben scavato, vecchia talpa” verrebbe da dire riprendendo una celebre frase del padre di tutti i futuri cattivi maestri.

***

Sergio Dalmasso, La sinistra. Una storia troppo breve, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2021.

Download gratis del primo capitolo dell’opuscolo LA RIVISTA. La Sinistra:

Download “Capitolo primo RIVISTA LA SINISTRA” Opuscolo-La-Rivista-La-SINISTRA-capitolo-primo.pdf – Scaricato 29367 volte – 177,37 KB

 

Opuscolo La sinistra recensito da Giorgio Amico

Giorgio Amico

Download, recensione di Giorgio Amico, pubblicata il 21 agosto 2021 su VENTO LARGO

Download “La Sinistra di Sergio Dalmasso. Un libro da leggere (di Giorgio Amico)” opuscolo-di-Sergio-Dalmasso-LA-RIVISTA.-LA-SINISTRA.-Una-stagione-troppo-breve-di-Giorgio-Amico.pdf – Scaricato 15950 volte – 273,36 KB

Di seguito si mostra la copertina Anno II – N. 4/5, aprile-maggio 1967 Colletti Lucio (direttore) della rivista LA SINISTRA:

copertina Anno II - N. 4/5, aprile-maggio 1967 Colletti Lucio (direttore) della rivista LA SINISTRA, Che Guevara e Fidel Castro