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L’Italia tra continuità e discontinuità

di Franco Di Giorgi

Tutte le forze politiche italiane in campo oggi sostengono a viva voce che vogliono salvare il Paese dalla grave malattia che da troppi anni l’affligge e dalla quale non riesce a riaversi completamente.

Quelle forze sono tante quante sono le diagnosi e le relative cure.

Sta di fatto, però, che il malessere permane e nessuna di queste terapie si è dimostrata finora all’altezza della situazione, cioè adeguata ed efficace.

Il rischio di questa specie di accanimento terapeutico è di perdere definitivamente il Paese, paziente e confuso.

Troppe volte si è infatti indugiato irresponsabilmente attorno ai pilastri della Costituzione e ogni volta l’Italia tutta tremava nel temere che potesse verificarsi l’irreparabile.

Il fatto è che alle ultime e alla nuova generazione di politici è mancato e manca il senso della vera responsabilità, quella a cui essi stessi si appellavano al recente impegno elettorale: a quelle mancava perché volevano salvare il Paese sulla base del principio liberista “arricchitevi a tutti i costi”, pur non avendone le reali possibilità; a questa manca perché a tutti i costi vuole riparare i danni commessi da quegli altri, senza avere l’effettiva competenza politica.

Il risultato, che resta sotto gli occhi stupefatti di tutti, è che le condizioni del paziente, del Paese ammalato, si sono andate ulteriormente aggravando, non solo in termini di debito pubblico.

L’unica possibilità per salvarlo, si può ben dire l’ultima ratio, l’ultima chance, pare essere ora un consulto incrociato, una collaborazione terapeutica tra i medici: così infatti oggi sono percepiti i politici italiani, cioè come dei primari, ognuno dei quali ritiene di avere in tasca la terapia salvifica.

Solo che alla luce della realtà patologica ognuna di esse, malgrado le prime avvisaglie, si dimostra alla lunga insufficiente e infine peggiorativa.

Come al solito, tuttavia, anziché operare in maniera coordinata e collaborativa, si crea quello spirito competitivo che purtroppo ci appartiene, simile ad esempio a quello che prevalse tra i generali durante la prima guerra mondiale, il quale finì con il creare la disfatta.

Non siamo tuttavia a una nuova “Caporetto”, vale a dire nel nostro caso a un ‘auto-Caporetto”, ma poco ci manca.

A fronte dello stato semi-comatoso in cui purtroppo ci troviamo, alla paziente Italia non possono pertanto che far male i toni da ultimatum che qualcuno dei nuovi dottorini adotta.

Nel caso specifico si tratta peraltro di quello stesso medicuzzo che poco più di un anno e mezzo fa aveva addirittura avanzato l’idea di impeachment.

E, alla luce di quanto assistiamo, risulta del tutto evidente che così facendo si è perso solo del tempo prezioso, perché la formula chimica, il farmaco, la mistione, insomma l’alleanza che in questi giorni è stata proposta doveva già essere avanzata dopo l’esito del 4 marzo dell’anno scorso.

Allora questa formula venne scartata a causa della testardaggine di un altro medicuzzo livoroso, per via del rancore che ancora lo avvelenava dopo la sonora bocciatura a un esame referendario.

Il rischio è che tra i due litiganti possa goderne alla fine il terzo escluso, il quale pensava di proporre per il Paese la sua ricetta sovranista, e che ora si sta preparando da par suo a manifestare pubblicamente il suo netto dissenso a quella alleanza.

Tutto ciò per dire che in questa sterile e dannosa disputa tra continuità e discontinuità, il Paese corre davvero il rischio di rimanere pietrificato dalla sua cronica malattia, la quale si manifesta certo con la crisi della rappresentanza parlamentare, ma solo perché ha la sua infezione originaria nel generale e incontenibile desiderio di fascismo.

1 settembre 2019